Evergrande e la prossima crisi immobiliare
In questi giorni si fa un gran parlare del caso Evergrande, un’azienda immobiliare cinese che con ogni probabilità non riuscirà a far fronte ai pagamenti in scadenza a breve. In...
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In questi giorni si fa un gran parlare del caso Evergrande, un’azienda immobiliare cinese che con ogni probabilità non riuscirà a far fronte ai pagamenti in scadenza a breve. In...
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Evergrande si trova in una crisi di liquidità. In parole povere, non è in grado di far fronte alle prossime scadenze di pagamento, perché non dispone dei fondi necessari. Nella fattispecie, Evergrande dovrà pagare gli interessi sui suoi titoli di debito (obbligazioni) per 84 milioni di dollari entro le prossime ore), altri 45 milioni entro mercoledì 29 settembre e ulteriori 149 milioni di dollari l’11 ottobre. La situazione debitoria dell’azienda – esposta per oltre 300 miliardi di dollari – preclude la possibilità di finanziare questi pagamenti tramite un credito bancario o un’ulteriore emissione di debito sui mercati finanziari. Inoltre, il governo cinese non sembra intenzionato a intervenire, dato che recentemente il presidente Xi Jinping ha rilasciato dichiarazioni volte a frenare la speculazione edilizia nel paese. Il governo ha anche introdotto la politica delle cosiddette “tre linee rosse”, ovvero dei criteri finanziari, il cui non rispetto implica una limitazione alle possibilità d’indebitamento per l’azienda interessata.
Tuttavia, è difficile pensare che si lascerà fallire Evergrande in modo incontrollato. È probabile che, una volta liberatosi degli attuali vertici dell’azienda, il governo applicherà un piano di smantellamento controllato, cercando di limitare le ripercussioni sui creditori, soprattutto per evitare una crisi bancaria e finanziaria. Questa è infatti la preoccupazione principale, dato che tutte le maggiori recessioni del passato sono iniziate con una crisi nel settore immobiliare, che si è poi propagata al sistema bancario, finendo per generare una forte depressione dell’attività economica. La crisi economica globale del 2008 è iniziata con lo scoppio della bolla dei subprime nel 2006, un evento inizialmente limitato al settore immobiliare statunitense.
Se il governo cinese riuscirà nel suo intento, potrà evitare un secondo caso Lehman Brothers, la banca d’investimenti il cui fallimento nell’ottobre del 2008 è considerato il fattore che trasformò una crisi interna agli Stati Uniti in una crisi globale. Infatti, Lehman Brothers era fortemente esposta sui titoli subprime ed era anche legata a molte banche e istituti finanziari esteri, soprattutto europei. La decisione da parte di governo e banca centrale statunitensi di non salvarla provocò una reazione a catena che precipitò il mondo intero nella più grave recessione dal 1929. Secondo i più maliziosi, questa grave conseguenza fu in realtà la motivazione principale alla base della decisione: gli Stati Uniti, che erano già in recessione a causa della crisi immobiliare legata ai subprime, preferirono coinvolgere il resto del mondo piuttosto che rischiare di perdere l’egemonia globale. Tuttavia, Evergrande è meno legata a banche estere di quanto lo fosse Lehman Brothers, oltre ad essere molto meno grande (la posizione debitoria di Lehman Brothers prima della crisi era circa il doppio di quella attuale di Evergrande). E per i suddetti maliziosi: il governo cinese sembra disporre degli strumenti per contenere le conseguenze interne di un fallimento di Evergrande e non sembra avere interesse nello scatenare una crisi globale dagli effetti imprevedibili. Almeno per ora.
È vero, però, che qualche spiacevole ripercussione potrà verificarsi anche al di fuori della Cina. Pure in Svizzera, dato che UBS è esposta per circa 276 milioni di dollari in obbligazioni di Evergrande. Ciononostante, il pericolo maggiore rimane interno, cioè dovuto al mercato immobiliare elvetico. La politica dei tassi d’interesse negativi della Banca nazionale svizzera (BNS), con il fine ultimo di deprezzare il franco, ha quale effetto perverso quello di surriscaldare il settore edilizio. I tassi d’interesse storicamente molto bassi hanno spinto i grandi investitori a costruire immobili da affittare o vendere, senza verificare se ci sia o meno una domanda per questi spazi abitativi o di lavoro. Il tasso di sfitto rimane a un livello di guardia, sebbene sia diminuito fra giugno 2020 e giugno 2021 dall’1,72 all’1,54 per cento in Svizzera. Anche perché, considerando il contesto di ripresa dopo la fase più dura della pandemia di covid-19, non è improbabile che questo tasso riprenderà a crescere in futuro, come lo ha fatto nei dodici anni precedenti. E ciò continuerà, se non verranno apportati correttivi sostanziali e strutturali, fino alla brusca inversione di tendenza che si materializzerà con la prossima crisi immobiliare.
In Ticino, per di più e in controtendenza rispetto all’evoluzione generale in Svizzera, questo tasso continua inesorabilmente a crescere. Senza fare un’analisi focalizzata sul cantone, che andrebbe oltre agli obiettivi di quest’articolo, va sottolineato che una crisi immobiliare può scoppiare in una sola regione e velocemente coinvolgere il resto del paese. Il caso Lehman Brothers’, che addirittura coinvolse il resto del mondo, ce lo insegna. Anche perché in Svizzera troviamo, fra i maggiori investitori nel mattone, molte casse pensioni, ciò che pone un’ulteriore spada di Damocle sull’intera società: tutti o quasi beneficeremo delle rendite che questi istituti verseranno e tutti dunque subiremo le amare conseguenze di una crisi immobiliare che li dovesse colpire.
Di Maurizio Solari, assistente presso la facoltà di economia dell’Università di Friborgo
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