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• 5 Dicembre 2022 – Silvano Toppi

La Svizzera, forse anche per dimostrarsi diligente e ossequiosa nei confronti delle sanzioni contro la Russia dell’Unione europea (e degli Stati Uniti), che ha a sua volta prontamente adottato contro ogni obiezione sulla sua neutralità, ripresenta i suoi calcoli sanzioni: ha congelato 7.5 miliardi di franchi d’averi russi e 15 beni immobiliari in sei cantoni;  un miliardo in più di ciò che era stato dichiarato lo scorso mese di luglio. L’ammontare dei depositi già esistenti doveva essere denunciato prima dello scorso 3 giugno. Furono allora segnalati da persone e organismi vari 46.1 miliardi.

C’è quindi una bella differenza tra quanto dichiarato e quanto congelato e qualche critica o sospetto è subito giunta alla Svizzera. Risulta però anche un’altra sostanziale differenza tra gli averi dichiarati e i fondi russi che si trovano in Svizzera. Secondo la stessa Associazione svizzera dei banchieri, le banche svizzere amministrano tra i 150 e i 200 miliardi di franchi svizzeri d’averi russi: tre o quattro volte di più di ciò che  ci dice la Seco. Ci sono comunque anche spiegazioni su queste differenze: l’obbligo di dichiarazione non si applica ai nazionali (svizzeri o di uno stato dello Spazio economico europeo o a chi possiede un titolo di soggiorno o permanente in questi stati). 

Se tuttavia facciamo con confronto con altri, non è che la Svizzera, messa sotto pressione, esca male; basterebbe pensare che il Dipartimento americano di Giustizia ha certificato 30 miliardi di dollari di fondi congelati dagli Stati Uniti e “dai suoi alleati” (Unione Europea e Gran Bretagna). Quindi delle due l’una: o la Svizzera è la  sola  cassaforte degli oligarchi putiniani o gli altri hanno  abbondantemente …addomesticato.

Più 137 miliardi di dollari per la Russia

C’è un’altra analisi che sembra una derisione. Riguarda la bilancia corrente delle nazioni e le variazioni ch’essa ha subito tra il 2021 sino a questi ultimi mesi del 2022. Assume quasi l’aspetto di un elenco tra perdenti e vincenti. 

La bilancia dei pagamenti, per dirla in termini semplici, è il rendiconto in cui vengono registrate tutte le operazioni effettuate dall’economia di uno  Stato nei confronti del resto del mondo in un determinato periodo di tempo (supponiamo un anno). Si può allestire un calcolo sulla base delle cifre fornite dal Fondo Monetario Internazionale. Ora, stando alle previsioni e sulla base delle sanzioni generalizzate e applicate per l’invasione dell’Ucraina, si dava per certo (altrimenti, perché le sanzioni?) che la Russia ne sarebbe uscita male e con difficoltà a finanziare la sua guera. Risulta invece che è la nazione che ne è uscita meglio, con un attivo, calcolato in dollari, di 137 miliardi (analogo a quello dell’Arabia Saudita).

Come mai? Perché la Russia ha importato meno ed esportato anche meno (sempre a causa delle sanzioni), ma ha esportato a prezzi molto più elevati, per la “fiammata” del gas e del petrolio, annullando in pratica il boicottaggio. Ciò che ha beneficato anche altri Stati esportatori di idrocaburi: Arabia Saudita, Qatar, Norvegia, Irak. Mentre ha gravemente penalizzato altri  Stati importatori (Germania, soprattutto, con un disavanzo di 145 miliardi, l’Italia 55,  la Francia 46, la Svizzera 25). 

Le nuove sanzioni e limitazioni dell’Unione europea  sia sul plafonamento del prezzo  del petrolio russo (60 dollari al barile, mentre oggi è a 70) che ne farebbe diminuire la produzione, sia sull’embargo all’importazione che entrerà in vigore in due tempi (dicembre e febbraio) dovrebbero privare la Russia di  entrate e amputare la sua capacità a finanziare la guerra. Ma nessuno può farsi illusioni: l’economia russa sarà toccata e indebolita ma non crollerà. Sia perché troverà quel terzo di domanda che le verrà a mancare altrove (Cina, India, Turchia) sia perché i produttori di petrolio (Arabia Saudita in testa, nonostante le visite del presidente Biden, proprio per evitarlo) puntano pure su una diminuzione della produzione (dell’offerta) per fare aumentare i prezzi (ben oltre i plafonamenti europei).

Né Zar né Nato  Rosatom

C’è però anche un altro aspetto che sembra un brutto scherzo. Uno dei rari settori in cui l’economia russa non è stata  sinora toccata dalle sanzioni, e di cui si parla poco, è quello dell’industria nucleare. Certamente perché non se ne può fare a meno per far girare le centrali di numerosi paesi europei e produrrre almeno la metà dell’energia di cui hanno bisogno. Neppure l’Udc di Chiesa, che vi vede la soluzione della penuria eletttrica svizzera, per colpa della Sommaruga, ci ha pensato. 

Su 440 reattori operativi nel mondo, 80 sono tra l’altro di concezione russa; l’Unione europea ne conta 18 su un centinaio in attività, soprattutto nei paesi dell’Est europeo. Per quanto riguarda l’uranio naturale, la Russia è il terzo fornitore dell’Unione europea con il 20 per cento del mercato (secondo i dati Euratom) Il Kazakistan (da cui proviene anche parte dell’uranio per le centrali svizzere) figura in seconda posizione, ma una buona parte dell’uranio estratto in quel paese “enclave” deve passare su territorio russo. Una volta estratto l’uranio deve però essere “convertito”, purificato e trasformato in esafluoruro di uranio, poi “arricchito” prima di essere utilizzato. 

Rosatom (l’Agenzia federale dell’energia atomica, un mastodonte russo) ha un peso reale in tutto questo: controlla infatti il 25 per cento del mercato europeo della conversione e il 31 per cento dell’arricchimento (percentuali che salgono fino al 40/60 per cento a livello mondiale). Oltre l’Unione europea, persino gli Stati Uniti sono dipendenti dalla Russia. E infatti, nel 2021 Rosatom ha fornito quasi un quarto del combustibile necessario ai 93 reattori americani (“In ogni momento, Mosca potrebbe ridurre la metà dell’approvvigionamento mondiale disponibile in combustibile nucleare e il mercato più esposto al mondo sarebbe quello dgli Stati Uniti”, ha dichiarato a fine ottobre Paul Dabbar, ex-segretario aggiunto al ministero americano dell’energia).

Si capisce quindi perché l’industria dell’atomo è un dei rari settori che non entra nelle restrizioni, con grande rammarico dei dirigenti ucraini. Un brutto scherzo che va oltre il discusso e improponibile né con lo Zar né con la Nato. Fare ciòè i conti con Rosatom.






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