Giorgio Mainini: Scheda senza intestazione? Anche no
[NdR] Questo testo è stato redatto il 19 aprile Ho fatto un sogno: che al momento dello spoglio si scoprisse che a votare è stato, in media, meno del cinquanta per cento degli...
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[NdR] Questo testo è stato redatto il 19 aprile Ho fatto un sogno: che al momento dello spoglio si scoprisse che a votare è stato, in media, meno del cinquanta per cento degli...
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Ho fatto un sogno: che al momento dello spoglio si scoprisse che a votare è stato, in media, meno del cinquanta per cento degli aventi diritto nei Comuni, e che le schede senza intestazione sono la maggioranza assoluta di questa minoranza. Un segnale chiaro, forse un abbozzo di resistenza all’inerzia.
Così scrive Marco Züblin su questo blog, in “Plaidoyer per la scheda senza intestazione”
Se ci si pensa bene, non è un gran bel sogno.
Si immagini un Comune nel quale si debba eleggere un consiglio comunale (CC) di 50 persone e che siano presentate 5 liste (A, B, C, D, E) di 50 nomi ognuna.
Il cittadino triste e abitudinario mette la crocetta sulla lista A e va a bersi una birra sulla terrazza appena riaperta: con questo semplice atto assegna 50 voti alla lista A e uno ciascuno ai candidati A, cioè 100 voti in tutto.
Il cittadino “altro”, per definizione sottintesa pensoso e politicamente evoluto, sceglie la scheda senza intestazione e dà il voto a 4 A-isti, a 3 B-isti, a 3 C-isti, a 5 D-isti e 4 a E-isti, che ben conosce e i cui meriti egli reputa superiori ai demeriti. Così facendo esprime (4+3+3+5+4) x 2 = 38 voti, di cui 19 personali e 19 distribuiti alle liste cui i suoi candidati appartengono.
Prima osservazione: “altro” conta meno del cittadino triste e abitudinario (38 voti contro 100).
Seconda osservazione: avendo distribuito più o meno equamente le sue preferenze su tutte le liste, non ne favorisce nessuna e il CC avrà una distribuzione di eletti definita dai cittadini tristi e abitudinari.
In sostanza: “altro”, che voleva essere il cataro di turno, non ha ottenuto niente e, in pratica, si è tirato la zappa sui piedi, auto-trasformandosi in cittadino con meno diritti (38 su 100).
Si aggiunga che “altro” non vive sulla luna: sarà un’avvocatessa, un dottore in fisica, un’insegnante di francese, un direttore d’azienda, altro ancora, ma poco probabilmente un camionista o una cassiera di supermercato. Sì, perché è tra i camionisti e le cassiere di supermercato che si annidano i cittadini tristi e abitudinari, mentre gli “altri” siamo noi, che siamo bravi e abbiamo studiato. Non è così? Il tono dell’articolo lo lascia pensare: gli “altri” sono quelli che sanno che cosa vuol dire “fàtica”, “stigmatizzare”, “coatta”, “opinare” (e pure “cataro”, già che ci siamo) e altre parole difficili (ricordate Don Milani?). Di conseguenza i candidati che si conoscono bene saranno del giro: avvocati, dottoresse in fisica, insegnanti di francese e direttrici d’azienda che, a loro volta, ben difficilmente conosceranno dal di dentro i problemi che hanno (affliggono) i camionisti e le commesse di supermercato.
Ci aveva già pensato Platone, secondo il quale dovrebbero essere i filosofi a governare, perché uno Stato che assegni ai suoi cittadini funzioni incompatibili col livello di sapienza da essi raggiunto diventa disarmonico e rischia facilmente di degenerare. Poi, un paio di millenni dopo, sono arrivati gli illuministi che l’hanno pensata diversamente, ma questa è un’altra storia.
Giorgio Mainini è stato docente di matematica e direttore di Scuola media. Attualmente appassionato divulgatore della sua disciplina
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