Harakiri doveva essere, e harakiri è stato
L’esito della votazione sull’imposizione minima delle multinazionali mette in rilievo, in modo inesorabile, la notevole difficoltà del PS a rendere chiare verso gli elettori le proprie posizioni
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L’esito della votazione sull’imposizione minima delle multinazionali mette in rilievo, in modo inesorabile, la notevole difficoltà del PS a rendere chiare verso gli elettori le proprie posizioni
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L’esito della votazione sull’imposizione minima delle multinazionali mette in rilievo, in modo inesorabile, la notevole difficoltà del PS a rendere chiare verso gli elettori le proprie posizioni
Ebbene il PS, formazione da sempre etichettata più a torto che a ragione come il “partito delle tasse”, che da sempre si è battuta e si batte per eliminare i privilegi e le ottimizzazioni fiscali di cui godono alcune imprese, in particolare quelle multinazionali, quando finalmente, sia pure per imposizione dall’estero, arriva una proposta che certamente non risolve il problema, ma per lo meno lo lenisce, al posto di appoggiarla pensa bene di opporsi. E sì, perché non lo hanno fatto gli ambienti economici e i partiti ad essi collegati, da sempre schierati contro ogni aumento della pressione fiscale, non lo ha fatto la destra nazionalista, da sempre contraria a ogni soluzione che abbia anche solo il minimo sentore di violazione o prevaricazione della sovranità elvetica, lo hanno fatto loro. Per di più solo loro, visto che nessun altro gli si è accodato (e anche questo forse qualcosa vorrà pur dire). Tant’è che in Romandia pure nei cantoni dove la sinistra tradizionalmente è forte come Vaud, Ginevra e Neuchâtel la proposta è stata bocciata con addirittura l’85% di no. Harakiri doveva essere, e harakiri è stato.
“Abbiamo avuto difficoltà a spiegare la nostra posizione” – favorevole all’imposizione minima ma contraria alla distribuzione del gettito, ricordiamolo – ha spiegato il consigliere nazionale Fabian Molina commentando il miserrimo 21,5% ottenuto. Si consoli, probabilmente neppure il fu signor B., colui che fece credere a una miriade di italiani che un’egiziana in reggicalze, reggiseno a balconcino e labbroni rosso fuoco che si faceva chiamare Ruby Rubacuori fosse una nipote dell’allora presidente egiziano Hosni Mubarak che nelle notti di Arcore gli insegnava a ballare una fino ad allora misconosciuta danza tribale chiamata bunga bunga, ci sarebbe riuscito.
Al netto della débâcle, questa votazione ha evidenziato una volta di più le tensioni tra le due anime socialiste, che non solo si guardano in cagnesco, ma fanno sempre più fatica a parlarsi. A quattro mesi dalle elezioni federali la direzione PS dovrebbe cominciare seriamente a interrogarsi sulla strategia fin qui seguita e da seguire, perché arrivare ad ottobre con un partito diviso è la premessa sicura per perderle.
Qualche suggerimento in merito è giunto dalle votazioni cantonali. Certo in Ticino il fronte sindacale e progressista le ha perse entrambe, ma essere riusciti a ottenere oltre 20 punti percentuali in più del proprio bacino di riferimento (il 46,7% ottenuto contro gli sgravi fiscali sui premi delle casse malati lo reputo addirittura un piccolo miracolo) può essere considerato, politicamente parlando, un buon risultato, la base da cui ripartire dopo la botta subita in aprile alle ultime elezioni cantonali, la dimostrazione che quando si propongono all’elettorato proposte, argomenti e soluzioni chiare e praticabili la risposta c’è.
Anche i salari minimi approvati a Zurigo e Winterthur sono segnali che spingono ad andare in questa direzione. Per contro da Ginevra arriva la bocciatura del prelievo ai Paperon de’ Paperoni cantonali di un contributo di solidarietà, a ulteriore dimostrazione che in Svizzera la lotta di classe fatta in queste forme e con questi metodi non ha quasi più cittadinanza.
Oggi insomma la sinistra non ride, ma può cogliere dei segnali che la inducano a un maggiore pragmatismo e acume tattico; dovesse, come spesso le è accaduto, non coglierli o cedere alle sirene di un massimalismo acritico, si condannerà da sola a un lento ma inesorabile declino.
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