Sir Paul ha la stessa voglia di futuro di 60 anni fa
L’algoritmo riunisce i Beatles. Grazie all’intelligenza artificiale uscirà entro l’anno “Now and Then”, un brano inedito dei Fab Four
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L’algoritmo riunisce i Beatles. Grazie all’intelligenza artificiale uscirà entro l’anno “Now and Then”, un brano inedito dei Fab Four
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L’algoritmo riunisce i Beatles. Grazie all’intelligenza artificiale uscirà entro l’anno “Now and Then”, un brano inedito dei Fab Four
La saga dei Beatles è una never ending story meravigliosa. Ogni volta che pensi «chiudiamo il libro, mille grazie di tutto, non c’è più nulla da dire», spunta qualche cosa. In parte grazie anche alla inarrestabile vena creativa e produttiva di Macca, 81 anni e nessuna voglia di fare il nonno pensionato. Il suo status da workaholic è leggendario. Da un certo punto in poi – circa ’66-‘67, il periodo più fertile e rivoluzionario dei Beatles – Paul si sedette al posto di guida di quel magic bus e fu lui a tirare la volata fino alla fine. Continuava a proporre, disporre, immaginare, fare e trascinare: era al centro della scena della Swingin’ London, frequentando teatri off e gallerie pop e d’avanguardia, sperimentatori elettronici e visionari quanto lui in tutti i campi delle arti, raccogliendo spunti che poi immetteva nel soundscape del gruppo.
Era lui che apriva e chiudeva lo studio a Abbey Road, s’era comprato apposta un appartamento nelle vicinanze, mentre gli altri tre si erano trasferiti nelle magioni in campagna. Una volta disse «non sopporto che qualcuno ne sappia più di me nelle aree che mi interessano». Non sorprende quindi che si sia avvicinato all’IA e l’abbia usata per ripulire la voce di John da quella cassetta di qualità approssimativa. Aveva già avuto un primo contatto quando durante la lavorazione delle dieci ore di documentario Get Back la IA è stata usata per separare le voci dei quattro dal rumore di fondo, e poi per creare il duetto con John che ha portato in scena nel suo ultimo tour.
Questo è un passo in più verso un mondo che lo incuriosisce: in Rete girano molti «fake» di musicisti che cantano canzoni di altri: George Michael, Kanye West, The Weeknd, e John Lennon stesso che canta una canzone in origine interpretata da Paul. Questo l’ha colpito: «Fa paura ma è anche eccitante, perché è il futuro. Dovremo vedere dove ci porta», ha detto recentemente. Quello spirito di curiosità degli anni 60 ce l’ha ancora. Il tema è ovviamente centrale anche nel mondo della musica. Il rischio di sostituire la creatività umana con un software c’è ed è enorme, come ha recentemente sottolineato, fra gli altri, Sting alla BBC: «Costruire la musica appartiene agli esseri umani, dobbiamo difendere il capitale umano dalla IA. Al massimo può essere uno strumento che governiamo».
Altri, come David Guetta, hanno ricreato la voce di Eminem per un suo brano, i Pet Shop Boys c’hanno finito una canzone che non riuscivano a terminare per il classico «blocco dello scrittore». Anche lo scenario del copyright è confuso: in Inghilterra teoricamente lavori fatti con l’IA possono essere tutelati, negli Usa invece l’arte prodotta con l’IA no, perché non è il prodotto di un autore umano. C’è grande caos sotto il cielo, si direbbe. È qualcosa cominciata fra scherzo e sperimentazione che potrebbe produrre una rivoluzione incalcolabile. Chissà se John Lennon, quando ha scritto Revolution avrebbe mai pensato che dopo quella politica di Mao sarebbe arrivata questa, immateriale e digitale, che ne avrebbe fatto rivivere la voce, 55 anni dopo.
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