Il capitalismo? Come l’Uroboro, che si mangia la coda
Democrazia, senso di comunità e questione ambientale di fronte al potere capitalistico in uno studio provocatorio, che fa riflettere
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Democrazia, senso di comunità e questione ambientale di fronte al potere capitalistico in uno studio provocatorio, che fa riflettere
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Democrazia, senso di comunità e questione ambientale di fronte al potere capitalistico in uno studio provocatorio, che fa riflettere
Capitalismo cannibale è dunque il titolo dell’ultimo saggio di Nancy Fraser pubblicato in italiano da Laterza. Sottotitolo: Come il sistema sta divorando la democrazia, il nostro senso di comunità e il pianeta. Sì, perché il capitalismo è cannibale e cannibalizza ogni cosa che possa produrre profitto privato, compresa la crisi sociale e la crisi climatica. È frenetico e compulsivo, vive di crisi che produce e incessantemente riproduce per propria essenza, ma chiama tutto questo libertà di mercato (mentre la toglie a noi cittadini) anche quando il mercato è governato da oligopoli sempre più grandi e globali (la Silicon Valley, ma pensiamo anche alla finanza, al Big Pharma, all’agro-business), oppure distruzione creatrice e oggi disruption, oppure mano invisibile – mentre in realtà è tutto finalizzato solo alla valorizzazione capitalistica della vita umana e naturale e alla trasformazione della società in mercato e di noi in merci o in capitale umano o in dati per il Big Data.
Tutto questo ottenuto con lo sfruttamento e l’espropriazione (termini più volte usati da Fraser) di ricchezze e di popolazioni, con la colonizzazione non solo di territori fisici ma anche di quelli psichici e degli immaginari collettivi, con la produzione e l’estrazione di valore oggi appunto anche dalla vita (e non più solo dal lavoro salariato) delle persone, con l’ incremento continuo del nostro pluslavoro fino al lavoro quasi-gratuito, con la digitalizzazione della vita, con guerre mondiali per frammenti tra sistemi capitalistici per spartirsi le risorse naturali e quelle produttive/consumative e molto altro ancora – salvo poi chiedere aiuto allo Stato quando è in difficoltà e l’ha fatta troppo grossa (vedi Credit Suisse).
Perché il capitalismo – la cosa è nota da tempo, ma fa bene Nancy Fraser a ricordarcelo – non è solo un sistema economico, ma è un ordine sociale (le forme e le norme di funzionamento del capitalismo sono diventate le forme e le norme di vita e di comportamento della società capitalistica, in realtà, aggiungiamo, secondo il piano del capitale), un ordine che di fatto legittima e quindi autorizza il principio dell’accumulazione privata – scrive Fraser – a favore dei soli investitori e proprietari. E come l’uroboro, il capitalismo – la società capitalista, cioè tutti noi – è pronto a divorare la sua stessa sostanza, replicando però così la propria eternità e immodificabilità. Ed è a questo capitalismo, scrive Fraser, che dobbiamo la nostra crisi attuale. Ma il capitalismo ha anche prodotto – dominato com’è da una logica dell’accrescimento e dell’espansione illimitata di sé e da “una tendenza intrinseca all’auto-destabilizzazione” – la crisi della democrazia, però allo stesso tempo (aggiungiamo ancora) producendo ciò che, come i populismi e i nazionalismi/sovranismi, comunque neoliberali, ne permettono la continuazione e la riproduzione con altri mezzi.
Libro ricchissimo di spunti, questo di Nancy Fraser, condivisibile in molte parti, in altre meno – come quando scrive di non vedere “una sempre maggiore mercificazione della vita in quanto tale”, esistendo per Fraser “una parte considerevole di attività e di beni al di fuori della sfera del mercato” – per noi sempre e comunque marginali rispetto alla tendenza predominante/egemone del capitalismo di estrarre profitto da tutto ciò che può essere valorizzato o espropriato (vita compresa) in termini di valore di scambio; o quando scrive che il capitalismo – di cui distingue le fasi mercantile, liberal-coloniale, monopolistica, liberista e globalizzante – “è un ordine sociale istituzionalizzato” ma con “una divisione strutturale tra sistema politico ed economia” e tra produzione economica e riproduzione sociale, che noi invece non vediamo perché questa divisione non esiste più da tempo, struttura e sovrastruttura essendo ormai una cosa sola e reciprocamente funzionali; o quando Fraser immagina un certo ruolo del mercato in una società socialista. Ci limitiamo allora a richiamare qui solo alcuni spunti sul conflitto natura/capitalismo.
Scrive Nancy Fraser: “Dire che il capitalismo produce il cambiamento climatico in modo non accidentale non significa affermare che le crisi ecologiche si verificano solo nelle società capitaliste. […] Ciò che è unico, tuttavia, è il carattere strutturale del legame tra società capitalista e crisi ecologica” – “una relazione cannibale, estrattiva, che consuma sempre più ricchezza biofisica per accumulare sempre più valore, trascurando le esternalità ecologiche”. Per cui “le società capitaliste conferiscono il potere di gestire le nostre relazioni con la natura a una classe fortemente motivata a distruggerla”. Un paradosso? Sì, ma è la nostra schizofrenia di massa appunto formattata dal sistema per i suoi scopi, per cui ci preoccupiamo della crisi climatica e sociale, ma lasciamo che a gestirla – meglio: a non risolverla – sia il sistema che strutturalmente le produce.
Evidente è allora la necessità di costruire una controegemonia “che possa orientare un progetto [ecosociale, ecosocialista] di trasformazione largamente condiviso”, “evitando un riduttivo ecologismo” ed affrontando invece “tutti i principali fattori, interconnessi, della crisi attuale, sia ambientali che non ambientali”. Una controegemonia per costruire un diverso senso comune, che non può che essere – “che dovrebbe essere”, scrive Fraser – anticapitalista. E quindi il socialismo, continua Fraser, dovrebbe ad esempio (ma l’elenco è più lungo) “porre la cura e la formazione delle persone, la salvaguardia della natura e l’autogoverno democratico come le priorità più alte della società, a scapito dell’efficienza e della crescita […] garantendo la sostenibilità di tutte quelle condizioni della produzione che il capitalismo ha così cinicamente distrutto. […] In pratica il socialismo deve mettere in primo piano le questioni che il capitale relega sullo sfondo”.
Tutto interessante e da meditare. Peccato che poi Nancy Fraser – ma è il problema di (quasi) tutti i marxismi del passato e delle sinistre di oggi, anch’esse positiviste e industrialiste – non dedichi neppure una riga al tema della tecnica e della tecnologia. Dimenticando che oggi anche il digitale/intelligenza artificiale è capitalista, che è anzi capitalismo all’ennesima potenza; che quindi non si può criticare il capitalismo se non si critica quella che noi chiamiamo (ir)razionalità strumentale/calcolante-industriale e che è la premessa del capitalismo ma anche della tecnologia, anch’essa (se non governata democraticamente e responsabilmente secondo una razionalità diversa), strutturalmente destabilizzante e disruptiva. Perché le crisi della democrazia, del lavoro, lo sfruttamento di uomo e ambiente e la crisi climatica non dipendono solo dal capitalismo, ma anche dall’uso che il capitale fa della tecnologia e dell’uso che scienza e tecnica fanno del capitale per accrescere il proprio potere. Perché uroboro è anche il sistema tecnico.
Nell’immagine: una delle infinite interpretazioni dell’Uroboro
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