Zelensky, Putin e i giochi olimpici: così parlò la Pizia
Perché il CIO è obbligato ad invitare russi e bielorussi a Parigi nel 2024
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Perché il CIO è obbligato ad invitare russi e bielorussi a Parigi nel 2024
• – Libano Zanolari
Le radici della guerra d’Ucraina; spesso ignorata (anche a sinistra) la questione del centralismo russo nella polveriera ex-sovietica.
• – Yurii Colombo
Il parlamento americano assegna il massimo riconoscimento civile al “piccolo console” svizzero che a Budapest salvò migliaia di ebrei, e che la Svizzera contrastò e poi ignorò a lungo
• – Aldo Sofia
Le elezioni di quest’anno ripetono vecchi scenari socialisti, fatti di litigiosità e faticoso pluralismo
• – Fabio Dozio
Le radici della guerra d’Ucraina; spesso ignorata (anche a sinistra) la questione del centralismo russo nella polveriera ex-sovietica.
• – Yurii Colombo
Il liberismo non condiziona solo politica ed economia, ma anche il mondo della scuola, imponendo il sotterrraneo principio di concorrenza, predominio, dell’”ognuno per sé e contro tutti”
• – Saverio Snider
Di certo non “dialoga” con la letteratura scientifica che conferma il ruolo dello Stato nei processi e nei progressi economici del modello capitalista
• – Paolo Favilli
Gli interessi strategici statunitensi non mettono certo l’Europa al primo posto. E l’Europa, di fronte alla guerra, si ritrova sempre più divisa
• – Redazione
Quella mancante, quella pelosa, quella balorda
• – Silvano Toppi
Giustizia sociale e giustizia ambientale devono misurarsi anche e forse soprattutto con un riorientamento delle priorità socioeconomiche
• – Enrico Lombardi
Perché il CIO è obbligato ad invitare russi e bielorussi a Parigi nel 2024
Il caos fra principi etici e «Realpolitik” regna anche fra i membri del Comitato Internazionale Olimpico: su 206 Paesi (contro i 193 dell’ONU) al momento solo una quarantina hanno accolto l’appello di Zelenski: non si gareggia spalla a spalla con i criminali russi e bielorussi. Bach ha chiesto a tutte le Nazioni il rispetto delle Carta Olimpica voluta da De Coubertin: Olimpia non chiede a nessun partecipante se è fedele o infedele a una religione, a un regime; se appartiene a una o all’altra razza: chiede il rispetto delle sue regole: partecipare a una guerra rituale, incruenta, in cui la gioventù di tutto il punto è chiamata ad essere piú veloce di Achille ‘Pié veloce’, più forte di Ercole, e soprattutto di scagliare il giavellotto, non in petto all’avversario, trapassandolo da parte a parte, ma il più lontano possibile: perché questa è la rivoluzione epocale che la gioventù I-pad non conosce: il passaggio dalla guerra celebrata dal poeta spartano Tirteo («gettatevi sul nemico con lo scudo sollevato, questa è suprema virtù: sia benvenuta la morte, cupo fantasma felice come il giorno radioso») alla sfida olimpica, proprio nella spianata fra l’Alfeo e il Cladeo (scorre tutt’ora) dove il recinto sacro chiuso da Teodosio su ordine di S. Ambrogio nel 293 c.C – (« basta con quei balabiott) e ripristinato dallo strano cattolico De Coubertin nel 1896 ad Atene.
Stufo dei continui massacri per il possesso delle terra fra l’Alfeo e il Cladeo, con il frequente intervento dei ‘poliziotti del tempo’ gli spartani, il re degli Elei Ifeto, nell’ ottavo secolo a.C. si reca come tutti, imperatori romani compresi, dall’Oracolo di Delfi: “ripristinate i Giochi Olimpici” è la sentenza emanata dalla voce rauca della Pizia, la sacerdotessa-oracolo. Segno che in qualche forma i Giochi esistevano già prima della data storica del 776 a.C. come lo stesso Omero insegna quando descrive i Giochi funebri in onore di Patroclo.
Il caso è chiaro: la Pizia decreta il rovesciamento assoluto della terribile descrizione-opinione dello stesso Omero quando descrive la guerra «flagello dell’uomo”: “come quando sotto striduli venti volano le tempeste conglomerando gran nube di polvere, così avvenne allora l’urto in un groppo, e bramavano di massacrarsi l’un l’altro nel folto col ferro puntuto”. Il giovani greco, a lungo solo l’aristocratico, può ora dimostrare la sua eccellenza nello stadion di 600 piedi (192,28 m) misurato dallo stesso Ercole, secondo il romano Pausania, davanti a 50’000 spettatori.
Non che i Giochi Olimpici abbiano sempre sostituito la guerra, non che la Tregua sacra, la ‘echecheiria’ dei greci, sia sempre stata rispettata come ho constatato personalmente al mio debutto come telecronista nel 1972 a Monaco di Baviera, quando i feddayin di ‘Settembre Nero’ hanno attaccanto la palazzina degli isrealiani, con la susseguente strage dell’aeroporto di Fürstenfeldbruck, e le famose parole pronunciate da Avery Brundage il giorno dopo, il 6 settembre, nella cerimonia funebre davanti a 80’000 spettatori: THE GAMES MUST GO ON.
Io, tenero esordiente gettato nella mischia, li avrei chiusi, sbagliando. Aveva ragione l’uomo che 36 anni prima era stato capodelegazione della squadra Americana a Berlino alle Olimpiadi stravolte da Hitler e Goebbels e intonate con i versi “in diesem Sinne, heilige Flamme, blühe und erlösche nie!”: la fiamma olimpica doveva ardere, allora, non nel senso dello spirito olimpico, per la gioventù di tutto il mondo, ma per il Terzo Reich millenario. Ma aveva ragione Brundage, anche se estimatore dichiarato di Hitler e Mussolini, antisemita. I Giochi dovevano e devono continuare. Le Olimpiadi devono esistere esattamente in quanto negazione della guerra, del conflitto cruento, del ‘polemos’ di Eraclito, «padre e signore di tutte le cose». Devono esistere anche quando presidente è il franchista Samaranch, anche quando una bevanda di colore oscuro le sottrae ad Atene nel centenario della fondazione (1896-1996).
Certo, quello attuale è un caso estremo. Ma va ricordato che già i greci escludevano gli assassini e i profanatori dei siti sacri agli Dei. E così, oggi, i tagliatori di gole, stupratori e assassini di minori della brigata ‘Wagner” non saranno certamente accolti fra i partecipanti alle gare di tiro di Parigi 2024: ci pare lapalissiano e indiscutibile. Per il resto, come stabilire un codice inviduale etico? Se alle prossime Olimpiadi statunitensi al potere ci sarà Ron de Santis potrebbe negare il visto d’entrata a omosessuali, lesbiche e transgender.
Chiedendo ai Comitati Olimpici di dare «una chance alla pace», Thomas Bach ha semplicemente fatto il suo mestiere. La politica non c’entra. Dire che il tedesco Bach è filo-Putin è certamente ‘gewagt’, osé. Il Comitato Olimpico svizzero ha respinto l’invito, dando però alle singole federazioni e ai singoli atleti la possibilità di scelta. Zelensky ha proibito agli sportivi ucraini di gareggiare in qualsiasi sport (tennis compreso) frequentato da russi e bielorussi.
Ne riparleremo ancora a lungo, ma resta una constatazione di fondo, sempre valida: se si chiede alla Gioventù sportiva di tutto il mondo quale sia il suo più grande desiderio, la risposta sarà: partecipare ai Giochi Olimpici, che rimane pur sempre anche il modo migliore e più giusto per dare speranza, per celebrare, senza illusioni, la sentenza della Pizia.
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