In cerca del padrone
Una storia esemplare, il licenziamento di oltre 400 operai attraverso un email notturno. Ma chi è il proprietario?
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Una storia esemplare, il licenziamento di oltre 400 operai attraverso un email notturno. Ma chi è il proprietario?
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Una storia esemplare, il licenziamento di oltre 400 operai attraverso un email notturno. Ma chi è il proprietario?
Due racconti che diventano realtà. La stanno vivendo sulla loro pelle alcune centinaia di operai della GKN (Firenze), che durante l’estate, in piena notte, hanno ricevuto la notifica del loro licenziamento attraverso una e-mail. È seguita, e prosegue, una mobilitazione che ha cercato di bloccare chiusura e trasferimento della produzione: fabbrica occupata, mobilitazione sul territorio, appelli alle autorità locali e nazionali. Le cose stanno ancora al palo, nonostante le promesse di Roma. Vicenda esemplare. Soprattutto se si parte da una domanda molto semplice: ma con chi devono negoziare i 420 lavoratori disinvoltamente messi sulla strada? GKN – apparentemente in buona salute – è una multinazionale inglese del comparto metalmeccanico, produceva componenti d’automobili per la Fiat (oggi Stellantis, sede centrale in Olanda). Vent’anni fa la GKN (che in questi anni ha ricevuto tre milioni di euro di aiuti statali) ha cambiato proprietario, finendo nella disponibilità di un gruppo inglese. Nel 2018 altro passaggio di mano: viene acquistata da ‘Melrose Industries’, anch’essa britannica, anch’essa quotata n Borsa.
Ma, di nuovo la domanda: chi la possiede? Fra i suoi maggiori azionisti ci sono ‘Capital Research’, che fa parte di un agglomerato finanziario di ben 67 aziende; ‘Select Equity Group’ (con un portafoglio di 30 miliardi di dollari); infine ‘Vanguard Group’ e ‘BlackRosck’, fra i più grandi fondi finanziari al mondo. E non è finita qui. Ognuna delle società citate è posseduta o ne possiede altre. Il che rende l’assetto proprietario quello che è stato definito “un labirinto inesplorabile, complesso, opaco”. Il suo obiettivo principale è realizzare profitti non tanto sul lato della produzione (di cui ha scarse competenze), ma soprattutto attraverso la capitalizzazione in Borsa e l’emissione di obbligazioni. Importa poco o nulla l’investimento di lunga durata. Acquistano le aziende, le ristrutturano, le rivendono a un prezzo più alto di quanto pagato. Alla guida del fondo Melrose (da non confondere con la proprietà) ci sono due ricchissimi signori inglesi: Simon Peckam (il Ceo), che nel 2014 guadagnava duemila volte più del salario minimo britannico, e Christopher Miller (vice-presidente). All’inizio dell’anno, i due hanno venduto titoli incassando rispettivamente 7 e 15 milioni di sterline: più del costo annuo dell’intero personale della’ Melrose’ licenziato con il gelido messaggino notturno.
Possiamo immaginare cosa abbia significato, per gli oltre 400 i lavoratori mandati a casa e per i loro rappresentanti sindacali, infilarsi nel ‘labirinto’ di una proprietà multinazionale ‘a scatole cinesi’, in un’anomia disorientante e dominata da algoritmi finanziari, e cercare gli interlocutori con cui tentare (si puo’ scommettere, inutilmente) di negoziare. È uno degli aspetti più deleteri della cosiddetta ‘finanziarizzazione’ dell’economia mondiale. Ciliegina sull’indigesta torta. ’Melrose’, in altre sedi, continuerà a produrre componenti per la ex Fiat, poi diventata FCA, e infine Stellantis. FCA ricevette nel giugno 2020 un prestito di 6,3 miliardi di euro con garanzia statale quale aiuto per uscire dalla crisi da Covid. Diventata Stellantis, nel gennaio di quest’anno ha comunque distribuito quasi 2,9 miliardi di dividendi agli azionisti. Ma sullo scandalo ‘Melrose’, che produce per il gruppo automobilistico che fu italiano, non una parola spesa dai giovani e rampanti eredi degli Agnelli.
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