Quando si dice l’ironia della sorte. Almeno nell’immediato, il Consiglio federale tiene duro dinanzi alle pressioni delle lobby economiche e della piazza. Gli allentamenti delle misure sono quelli annunciati la scorsa settimana: apertura di tutti i negozi, di musei, biblioteche e, all’aperto, di attività sportive e del tempo libero. Ma bar e ristoranti restano chiusi: se ne riparlerà dopo il 12 marzo e in ogni caso non se ne farà nulla prima del 22 marzo.
L’annuncio, però, arriva proprio quando l’andamento dei contagi sembra segnare un’inversione di tendenza. Dopo oltre un mese e mezzo di cifre in diminuzione (il calo era iniziato il 7 gennaio), da lunedì il numero dei nuovi casi ha ricominciato a salire: +56 martedì, +90 oggi.
È presto per trarre conclusioni, ma è impossibile ignorare il campanello d’allarme. Tanto più che le nuove varianti, di cui da un paio di giorni l’Ufficio federale della sanità pubblica i dati, secondo le ultime stime hanno ormai superato il 50 per cento del totale, con la cosiddetta variante inglese (B.1.1.7), più contagiosa, a rappresentare più del 95 per cento del totale: 3257 casi in totale. (Non che le altre varianti siano meno preoccupanti, peraltro: si presume possano causare delle reinfezioni e ridurre l’efficacia dei vaccini; della B.1.351, la cosiddetta sudafricana, sono finora stati individuati 135 casi; della P.1, soprannominata brasiliana, 7 casi).
Alla luce di questi dati, anche le caute riaperture annunciate oggi rischiano di rivelarsi eccessive. Perché se i casi dovessero davvero ricominciare ad aumentare con le restrizioni in vigore, ogni allentamento, seppur minimo, non potrà che rafforzare la tendenza.
Altro che riaprire bar e ristoranti, come molti chiedevano!
Con buona pace degli epidemiologi improvvisati che, dall’alto della loro arroganza, lanciano ora strali contro il Consiglio federale.