Memoria corta e compagnie di giro
Senza quel simpatico gruppo di evasori italiani, e senza gli effetti della vicinanza italica sullo sviluppo del tessuto industriale, il Ticino sarebbe plaga ben diversa
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Senza quel simpatico gruppo di evasori italiani, e senza gli effetti della vicinanza italica sullo sviluppo del tessuto industriale, il Ticino sarebbe plaga ben diversa
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Senza quel simpatico gruppo di evasori italiani, e senza gli effetti della vicinanza italica sullo sviluppo del tessuto industriale, il Ticino sarebbe plaga ben diversa
Molti dei comici della compagnia di giro dell’UDC e della Lega hanno un conto aperto con l’onestà intellettuale. Lo si vede soprattutto dal sistematico, e prevedibilmente rozzo, uso “ideologico” che fanno dell’emergenza sanitaria. Ogni insubrico stormir di fronda nel paesaggio pandemico (ora Viggiù, domani chissà) determina in loro, pavlovianamente, la richiesta di chiusura delle frontiere o altri tormenti a carico dei nostri vicini. Hanno chiesto di tutto, con i soliti peregrini pretesti: la chiusura dei valichi, limiti alla circolazione, tamponamenti a tappeto per frontalieri, multe vessatorie. Naturalmente nessuno li ha presi sul serio dove sul serio speravano di essere presi, cioè nella Svizzera “vera”, di cui questo rissoso triangolo sudalpino costituisce una sempre più penosa caricatura.
È però vero che i ticinesi hanno, in generale, un problema con l’Italia e gli italiani. Sento persone di eccellente formazione e di buona cultura sparare, con ogni pretesto o anche senza, contro l’Italia; addirittura persone attive nella banca e nella finanza, cui l’evasione fiscale italiana ha per decenni consentito di prendersi ottimi e facilissimi soldi, in perfetta buona coscienza e senza troppi scrupoli. Tra costoro, parecchi maggiorenti della compagnia di giro di cui sopra. Quindi molti ticinesi hanno anche un problema, assai grave, di memoria e di buona fede.
(Un problema, più piccolo e meno ingiustificato, lo hanno anche gli italiani con la Svizzera, considerata fiancheggiatrice di comportamenti che hanno sottratto risorse al paese e che hanno generato immeritata e un po’ spocchiosa ricchezza al di qua del confine)
Senza quel simpatico gruppo di evasori italiani, e senza gli effetti della vicinanza italica sullo sviluppo del tessuto industriale, il Ticino sarebbe plaga ben diversa. Un luogo di splendidi paesaggi, di abitanti impegnati in incomprensibili faide localistiche, di cieli tersi e temperature clementi, di povertà strisciante, di emigrazione: quindi, l’ideale per l’approdo di turisti ricchi, e ancor più vittima designata per depredazioni di ogni genere e tipo. Un Ticino nel quale parecchi di noi, e tra essi taluni xenofobi nostrani che oggi giocano a fare gli statisti, sarebbero a falciare il maggese in alta valle, a fare procedure di vicinato remunerati con i polli di Renzo, a lavorare in partibus infidelium (*), a bagnare fiori pubblici in tuta arancione, a fare i conti con la palude della propria psiche, o all’osteria a dimenticare le ambasce del presente.
Eh sì, l’onestà e la memoria sono gran brutte bestie, signora mia.
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