È stato il “Financial Times” a rivelare l’episodio: quando i ricercatori dei laboratori universitari di Oxford furono certi di aver scoperto un vaccino anti-Covid (quello di AstraZeneca, di cui la Confederazione ha prenotato 6 milioni di dosi), quei ricercatori pretesero che fosse messo sul mercato al ‘prezzo di costo’, quindi senza guadagni superiori alla spesa per la produzione, allo scopo di consentire a tutti i paesi, anche quelli più poveri, di usufruirne. Guardavano lontano gli scienziati della prestigiosa università, e già intuivano che il ‘nazionalismo del vaccino’ sarebbe stato uno dei problemi principali della distribuzione del siero.
Fino al 15 febbraio scorso – segnala ora Oxford – 175 milioni di persone hanno ricevuto almeno una dose del vaccino, e i tre quarti sono stati inoculati soltanto in dieci nazioni. Poche gocce nel mare di necessità rappresentato 7,7 miliardi di persone. Quanti di loro potranno/dovranno essere immunizzati al ritmo e nelle condizioni attuali? Non è solo una questione etica, di equità. C’è anche il pericolo di mancare l’obiettivo della sicurezza sanitaria globale. Col rischio che dalla pandemia non ne esca nemmeno la parte benestante dell’umanità. Dilemma ben presente nell’agenda del G7 (in videoconferenza) della scorsa settimana, che ha segnato il recupero degli Stati Uniti al multilateralismo (“America è tornata”, ha detto Joe Biden).
La sede svizzera di AstraZeneca a Baar
I “grandi della terra” hanno staccato un assegno di 4,3 miliardi per garantire al meccanismo internazionale “Covax” la distribuzione nel 2021 di almeno due miliardi di dosi in duecento paesi. Spinti, i leader, e per stessa ammissione del presidente francese Macron, anche da preoccupazioni geo-politiche: l’assenza dell’Occidente, ha detto in sostanza l’inquilino dell’Eliseo, lascia il campo libero a Cina e Russia, che riforniscono l’Africa di prodotti non ancora omologati dall’OMS. Come se il vaccino debba appunto servire come arma per sostenere la competizione politica mondiale. Vedremo quali effetti avrà la “generosità” delle sette maggiori economie del sistema produttivo occidentale. Quello che accuratamente si evita invece di affrontare è la richiesta di diverse organizzazioni umanitarie e istituzionali, la stessa OMS e ora anche l’Organizzazione mondiale del commercio: e cioè che l’industria farmaceutica produttrice del sieri anti-Covid accetti una temporanea deroga della “proprietà intellettuale”, in sostanza dei relativi brevetti, per consentire ad altri stabilimenti una massiccia produzione del vaccino. Dialogo tra sordi. E antica contrapposizione.
Big Pharma e chi la ospita sul proprio territorio (che tra cui la Svizzera) replicano che i profitti sono necessari per finanziare la ricerca. Ammesso che ciò sia sempre vero, c’è una contraddizione grande come una montagna: stavolta, nel caso dell’antivirus pandemico, la sperimentazione è stata finanziata dai miliardi impegnati o anticipati dai governi che hanno pre-acquistato milioni di dosi. Quindi soldi pubblici, soldi dei cittadini. E senza una sospensione dei brevetti i tempi della somministrazione saranno maledettamente più lunghi, e i costi sicuramente più alti, per troppi paesi in via di sviluppo. Esattamente quanto temevano gli scienziati di Oxford.