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Donato Sani
Donato Sani
Kazakistan ricco “cuscinetto” fra Russia e...
• 19 Marzo 2023 – Donato Sani

Nel periodo elettorale i contributi di candidate e candidati sono benvenuti sulla nostra zattera secondo queste regole

Da Astana

In un’epoca in cui il baricentro economico e politico mondiale pende sempre di più verso l’Estremo oriente e il subcontinente indiano (l’area più rilevante del mondo a livello demografico e di PIL complessivo), l’Asia centrale assume un ruolo cruciale come area di cerniera tra diversi attori geopolitici fondamentali: la Cina, la Russia, i Paesi del Medioriente, l’India e il Pakistan. 

Nel contesto dell’Asia Centrale, Il Kazakistan è emerso nell’ultimo trentennio come il leader regionale a livello economico e politico. Paese di appena venti milioni di abitanti, ma con un sottosuolo ricchissimo di materie prime, in particolare di petrolio, carbone, gas, uranio (di cui è il primo produttore mondiale) e di vari metalli fondamentali per i cicli produttivi contemporanei, è tradizionale partner economico e politico della Russia, ma nel corso degli anni ha assunto un ruolo sempre più significativo anche per la Cina. Infatti dal suo territorio passano due dei corridoi terrestri definiti dalla cosiddetta Nuova via della seta (Belt and Road Initiative), che collegherebbero la Cina al mercato europeo e a quello mediorientale. 

La Belt and Road Initiative come piano di sviluppo strategico delle relazioni economiche internazionali è stata annunciata non a caso dieci anni fa (nel settembre del 2013) proprio nella capitale kazaka, Astana. In un sistema economico mondiale in cui il commercio si fa in maniera assolutamente prevalente su nave, lo sviluppo delle vie di commercio terrestri è fondamentale per il colosso cinese al fine di precorrere le possibili criticità che potrebbero causare in futuro le rotte marittime, in particolare rispetto ai colli di bottiglia di Malacca, Bab Al-Mandeb, Suez e non solo, oppure riguardo al confronto crescente con la potenza talassocratica degli Stati Uniti e dei loro alleati. Con le sanzioni imposte alla Russia i corridoi terrestri che attraversano il Kazakistan hanno acquisito un interesse ancora maggiore per il commercio tra Europa e Cina. In una recente conferenza stampa il viceministro degli esteri Roman Vasilenko ha ribadito l’importanza di sviluppare i corridoi commerciali centrali (via Mar Caspio) e meridionali (via Iran) verso occidente per contrastare gli effetti delle sanzioni alla Russia. 

Oggi, domenica 19 marzo si svolgono in Kazakistan le elezioni della camera bassa del parlamento kazako, la Mazhiliz (l’organo che nel Paese  ha prerogativa nell’iniziativa legislativa) e l’elezione di tutta una serie di consessi regionali chiamata Maslichaty. Si tratta di un’importante tornata elettorale perché si svolge dopo varie serie di riforme promosse dal Presidente Qasym Jomart Toqaev. Da una prospettiva legalistico-formale, queste riforme rappresentano un cambiamento enorme nella giovane repubblica kazaka: si tratta di una modifica di un terzo degli articoli della costituzione nazionale (33 su 99) con una chiara democratizzazione giuridica del Paese. 

Oltre a riforme rilevanti dal punto di vista dei diritti umani, come l’abolizione della pena di morte, il dato più importante è la fine dell’era del superpresidenzialismo costituzionale. La costituzione precedente infatti attribuiva un forte potere di ingerenza al presidente, che aveva diritto alla nomina diretta o indiretta di una quota non irrilevante di membri delle due camere del parlamento kazako (ora tutti i membri della Mazhilis sono eletti dal popolo) e nominava direttamente tutti i governatori delle regioni e i sindaci delle città più importanti, mentre ora si procederà ad elezione. Altre novità concernenti direttamente la Mazhilis riguardano la facilitazione nella registrazione di partiti (a partire da una riduzione importante del numero di firme necessario per presentare la lista) e di conseguenza l’aumento da 5 a 7 partiti in lista per le elezioni rispetto al 2011, la possibilità di presentarsi in numerosi collegi uninominali come candidato indipendente senza partito (“candidati autonominati“), delle quote obbligatorie del 30% per donne, giovani e persone con disabilità tra gli eletti (!) dai partiti, una diminuzione della soglia di sbarramento dal 7% al 5%.

Sulle reali motivazioni di queste riforme e sull’effettivo sviluppo democratico del Paese, si potrebbe aprire un capitolo a parte di una storia che attualmente è ancora in itinere. A voler abbozzare delle ipotesi, ci sono sicuramente importanti ragioni sia di ordine interno che esterno. Le rivolte di piazza del gennaio 2022 che hanno scosso il Kazakistan e hanno assunto delle dimensioni drammatiche (quasi 230 morti), soprattutto nella città più popolosa del Paese, Almaty, hanno sicuramente allarmato la dirigenza kazaka attuale con a capo il presidente Toqaev, che poi nel corso di quest’anno ha annunciato diverse riforme in ambito politico e sociale. Le rivolte erano state suscitate dall’aumento dei prezzi sugli idrocarburi e avevano un chiaro fondamento di protesta contro le diseguaglianze ancora fortissime nel Paese nonostante l’importante crescita economica degli ultimi decenni. 

Un bersaglio delle proteste era stato l’ex-presidente Nazarbaev, che aveva guidato la repubblica centroasiatica ininterrottamente per più di 30 anni e la cui famiglia si era appropriata di una parte importante delle risorse del Paese (basti pensare al genero Timur Kulibayev, “padrone” degli idrocarburi nel Paese). Toqaev non è certamente una persona che può vantare un’estraneità storica al sistema di potere dell’ex-presidente, a cui è succeduto in una transizione controllata nel 2019 dopo una carriera di alto livello politico e diplomatico. Tuttavia, una parte importante delle riforme è stata rivolta a ridimensionare la posizione dell’ex-presidente nel sistema istituzionale kazako. Accusato esplicitamente di aver favorito la creazione di un’élite ricca anche “per gli standard internazionali“ in un sistema molto diseguale, l’ex presidente si è visto liquidare la legislazione speciale che riguardava la figura del “primo presidente“ detto anche Elbasy (in Kazako “guida della nazione“), che stabiliva la difesa costituzionale della sua figura (con risvolti inquietanti sulla libertà di opinione), l’immunità, l’inviolabilità della proprietà privata, l’istituzione di una festa nazionale in suo onore. 

La capitale del Paese aveva cambiato il nome ufficiale in Nursultan (dal nome di “battesimo“ del primo presidente) nel 2019 con una decisione approvata all’unanimità dal parlamento solo tre anni fa, mentre da gennaio è stato ripristinato il nome ufficiale precedente di Astana. Alcune delle riforme introdotte da Toqaev sembrano riguardare direttamente la famiglia Nazarbaev o essere rivolte alla lotta contro l’oligarchia. È stata introdotta la proibizione per i parenti del presidente di occupare cariche di alto livello, oppure è stato istituito un fondo di recupero di somme illegalmente trasferite all’estero (fondo che in meno di un anno ha rimpatriato più di un miliardo e mezzo di dollari).

L’altro fronte delle riforme è quello internazionale. Il Kazakistan è da sempre protagonista di una politica estera multivettoriale, di collaborazione e di amicizia politica ed economica con tutti i partner più importanti a livello mondiale: Russia, Cina, UE, USA, Turchia prima di tutti. Uno sviluppo in senso liberale e democratico è sicuramente un buon modo di attirare investimenti e simpatie da parte delle istituzioni internazionali e dei partner occidentali, in particolar modo dell’UE, che rappresenta complessivamente il primo partner commerciale del Paese. Il perseguimento di buoni rapporti con tutti i partner internazionali più importanti consente al Kazakistan di avere una politica estera ben bilanciata e pienamente sovrana ed indipendente, fermo restando gli ovvi rapporti di collaborazione e di buon vicinato che lo legano a Cina e Russia, con cui condivide alcune delle frontiere terrestri più estese del mondo.

Sull’effettiva democratizzazione del Paese è ancora difficile esprimersi. Probabile vincitore, il partito Amanat (ex Nur Otan), che è sempre stato il principale partito governativo finora (a questo partito aderiva anche in passato l’attuale presidente. Alle elezioni si presentano anche due partiti fondati e registrati di recente, che idealmente dovrebbero rappresentare la sensibilità ambientalista delle nuove generazioni (partito Baitak) o una possibilità di espressione più diretta della società civile (partito Respublica). Oltre ai partiti tradizionali che hanno animato la politica kazaka in questi ultimi due decenni (dal centro destra di Ak Zhol all’estrema sinistra del Partito popolare del Kazakistan), c’è anche il ritorno di una partito (Nazional Social Democratico), che si era rifiutato di partecipare alle ultime elezioni, perché considerate antidemocratiche. 

Sulle più recenti riforme ed elezioni, importanti organizzazioni di difesa dei diritti umani come Amnesty o HRW non sembrano essersi ancora espresse in maniera dettagliata, mentre la missione dell’OSCE in occasione delle ultime elezioni presidenziali anticipate di novembre aveva espresso soddisfazione per i miglioramenti legislativi, ma le aveva giudicate ancora carenti a livello di garanzie di pluralismo. Un dato interessante, che secondo alcuni osservatori kazaki mette un po’ in discussione la legittimità delle suddette elezioni presidenziali, era stata la bassa affluenza al voto nelle grandi città (ad Almaty, la vera metropoli del Paese, l’affluenza non aveva superato il 30%). Raccogliendo voci tra la gente comune della capitale e di Almaty, ho notato in maniera prevalente un certo scetticismo verso il processo elettorale, misto tuttavia ad una certa crescita di interesse per la politica.

Da una prospettiva svizzera, queste elezioni sono pure importanti, visto lo sviluppo dei rapporti economici e diplomatici tra i due Paesi negli ultimi trent’anni. In Ticino ha sede una filiale dell’azienda nazionale degli idrocarburi (KazMunajGaz) che si occupa di trading. I rapporti di amicizia tra parti dell’imprenditoria ticinese e svizzera e il Kazakistan (e in particolare con la famiglia Nazarbaev) sono noti a tutti. Pure il presidente attuale Tokaev ha avuto una lunga esperienza elvetica: in passato ha svolto pure il ruolo di direttore dell’Ufficio ginevrino dell’ONU. Inoltre molte dell’aziende svizzere attualmente in Russia potrebbero anche pensare in futuro a un trasferimento delle proprie attività macroregionali in Kazakistan per via delle sanzioni: secondo il ministero dell’economia della repubblica centroasiatica, sono potenzialmente 37 le aziende che potrebbero spostarsi.

Nell’immagine: il palazzo presidenziale di Astana, costruito (come il 40% degli edifici della città – dato del 2009) dall’azienda ticinese Mabetex






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