La febbre per la reliquia barbara e il paradosso della Svizzera aurea
Il nostro Paese continua ad essere il sicuro forziere dell’oro mondiale, da vendere ed esportare anche e soprattutto a chi si premura di svincolarsi dal dollaro
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Il nostro Paese continua ad essere il sicuro forziere dell’oro mondiale, da vendere ed esportare anche e soprattutto a chi si premura di svincolarsi dal dollaro
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Il nostro Paese continua ad essere il sicuro forziere dell’oro mondiale, da vendere ed esportare anche e soprattutto a chi si premura di svincolarsi dal dollaro
E’ tornata la febbre della “reliquia barbara” (come la definiva il grande economista inglese Keynes). A metà aprile l’oncia d’oro (un’oncia equivale a 31.13 grammi; un lingotto da 1kg. corrisponde a 32.12 once) superava i 2.000 dollari, avvicinandosi al primato raggiunto lo scorso mese di marzo (2022 dollari l’oncia) quando l’invasione dell’Ucraina infiammò i mercati; attualmente siamo a 2038 dollari (1.809 franchi) e si supera quindi ogni primato. Dall’inizio dell’anno il prezzo dell’oro è aumentato del 25 per cento.
All’idea di quel metallo…
“All’idea di quel metallo portentoso, onnipossente…un vulcano la mia mente” canta Figaro. Le incertezze geopolitiche ed economiche creano l’ansia. I più ansiosi trovano nell’oro l’idea salvifica, l’unico valore rifugio. L’investimento nell’oro non apporta nessun interesse o rendimento particolare, ma la sua valorizzazione di mercato lo trasforma in relativa sicurezza o perlomeno “resistenza”, supponiamo di fronte ad eventuali altri fallimenti bancari o ad altre svalutazioni monetarie.
Le Banche centrali non sono da meno. Tendono infatti ad accumulare lingotti e a coprirsi d’oro, quasi fossero loro stesse preoccupate di incappare in giorni grami. Con l’aumento dei tassi di interesse che continuano ad operare in risposta all’inflazione (aumento generalizzato dei prezzi), finiscono per ritenere anch’esse che l’oro riuscirà a contenere le perdite che, in un contesto del genere, è pressoché ovvio attendersi (v. Banca Nazionale). Ciò che lascia comunque attoniti e perplessi è che già nei primi nove mesi dello scorso anno le Banche centrali non avevano mai acquistato tanto oro e in una misura mai vista dal 1950 (1.130 tonnellate, 400 solo nel terzo trimestre). Banche profetiche, Banche decisamente pessimiste sull’economia mondiale, sulla fine del “globalismo” o sulla vitalità del capitalismo?
È però bene aggiungere subito che il grosso di acquisti di lingotti è stato operato da Russia e Cina, Turchia, Egitto e Vicino Oriente. E la geografia è singolare. Sono Paesi che, in seguito al deterioramento delle relazioni politiche ed anche economiche con gli Stati Uniti e in seguito alla guerra in Ucraina, vorrebbero perseguire il proprio affrancamento dal dollaro come valuta di riserva dominante (essa rappresenta sempre il 60 per cento delle riserve di cambio mondiali, rispetto al 20 per cento dell’euro o al 3 per cento del renminbi-yuan, la moneta cinese). E l’oro diventa ovviamente la prima alternativa più credibile della lista.
La Svizzera Paese dell’oro
La Svizzera (e in particolare il Cantone Ticino), per paradossale che possa sembrare, è il Paese dell’oro. Non ne produce, lo importa dalle miniere, lo accumula e ne diventa il maggior centro al mondo di raffinamento (conta infatti le cinque maggiori raffinerie del mondo: Metalor a Neuchatel, Centres+Metaux a Bienne, Pamp a Castel San Pietro, Valcambi a Balerna e Argor Hereaus a Mendrisio) e poi di traffico e commercio. Il quotidiano romando “Le Temps” sosteneva e dimostrava nell’aprile 2022 che “i due terzi del metallo prezioso mondiale sono raffinate e trasformate” in Svizzera. Tanto che l’oro diventa una delle merci più esportate dalla Confederazione (assieme al caffè, altro piccolo paradosso commerciale).
Su un periodo di quasi 15 anni la Svizzera è stata importatrice netta di 11.616 tonnellate d’oro (quindi, una media di oltre 700 tonnellate all’anno). Poiché la domanda dei consumatori svizzeri è di “soli” 48.7 tonnellate (2022), appare pure evidente che la Svizzera continua ad esercitare una attrazione tutta particolare (di cassaforte sicura?) come ideale “Paese depositario d’oro” a livello internazionale.
Cina, grande importatrice d’oro…svizzero
Sulla base dei dati forniti dalla Dogana svizzera (24 gennaio 2023), sono 1700 le tonnellate d’oro che hanno lasciato la Svizzera (la cifra più alta dopo il 2016) per raggiungere vari Paesi, come l’Arabia Saudita (47 tonnellate), Singapore (69), Thailandia (92) Turchia (188), India (224). Tuttavia, senza sorpresa, a dire il vero, è la Cina che figura in testa alla lista degli importatori se diamo per buone, in questo caso (e non c’è da dubitarne) le cifre calcolate dalla meticolosa agenzia Reuters. La Svizzera ha esportato in Cina continentale e a Hong Kong 524 tonnellate d’oro, ciò che rappresenta più del 30 per cento delle esportazioni svizzere d’oro del 2022.
Quante siano finite nei forzieri della Banca Popolare di Cina come fondamentale riserva (anche per affrancarsi dall’ingombrante dollaro) è difficile dirlo perché quando questa Banca acquista oro all’estero le transazioni sono esenti da dichiarazioni doganali, in modo che essa possa aumentare le sue riserve senza lasciar traccia pubblica. Non è comunque azzardato supporre dove siano finite quelle tonnellate di “oro svizzero”. E non mancherà nel tempo qualche rimostranza della potenza americana.
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