La ragione trascurata che mi fa dire sì al Polo sportivo
Nell'immagine: Cornaredo, dicembre 2020
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Nell'immagine: Cornaredo, dicembre 2020
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Nell'immagine: Cornaredo, dicembre 2020
C’è un’assenza vistosa e insieme dissimulata che mi colpisce nelle posizioni dei contrari al PSE: ed è la quasi totale omissione dell’elemento umano, delle persone. Si parla di traffico a rischio esplosione (ma la strada contestata si farà comunque, con il PSE o senza); si parla di “speculatori” pronti a ghermire la preda e che no, non sono quelli che hanno acquistato nel silenzio generale il Palace, all’epoca della costruzione di quel LAC che per poco ci manda a gambe all’aria e di cui nihil nisi bonum; si parla di spazi verdi che sì, ci sono, ma fanno torcere il naso, a chi fa permacoltura in giardino, mica mette il verde sui tetti del garage. Ma non si parla mai delle persone che già vivono in quella ampia area, caratterizzata da quel senso di incompiuto e provvisorietà proprio delle periferie non privilegiate la cui ricucitura ho già tentato di porre come buon motivo per essere favorevoli al PSE, uno strumento non perfetto ma un tentativo coerente e intelligente di dare una risposta allo sfilacciamento territoriale che è anche disunità sociale.
Eppure l’urbanistica, l’idea di cosa debba essere una città, i luoghi dove le persone vivono, dovrebbe essere al centro della riflessione, prima ancora che le considerazioni di ordine sportivo o legate agli aspetti finanziari del progetto. Mi colpisce molto che manchi soprattutto negli oppositori di sinistra un’idea complessiva di città che ci dica cosa debba essere alternativamente quella zona: perché non c’è nulla di più concreto e di sociale ‘a favore dei meno fortunati’ che ridefinire il territorio in cui vivono connettendolo con il resto dello spazio urbano, dotando questo spazio di vitalità, dignità, bellezza. Io non so davvero che cosa ci sia di più di sinistra che, senza cedere alla retorica, pensare a come vivono le persone e a come potrebbero vivere meglio. Perché ogni Roma ha la sua Remoria, la città di Remo, la non–Roma dimenticata. E se chi abita o frequenta il centro luganese e i suoi spazi aggregativi oggettivamente d’élite ha una sua topografia assestata ed esclusiva (anche nel senso di escludente) di riferimento, forse a chi abita in via Ronchetto, in via Beltramina, in via Trevano, alla ‘torre’ di Pregassona di là dal fiume, non sarebbe male offrire spazi aggregativi diversi dalle panchine davanti alle camere ardenti del Cimitero. Rafforzare la personalità di zone senza riferimenti per chi ci vive contrastando l’indebolimento delle reti di relazione e di sostegno che ancora una volta qualifica le periferie non privilegiate dovrebbe essere un compito ritenuto primario da tutti. Quantomeno, dovrebbe proprio essere un obiettivo di chi ha cuore l’appianamento dei disequilibri e un’equa distribuzione delle risorse pubbliche su tutto il territorio urbano: anche questo, tra l’altro, fa vincere le sinistre (nelle altre città).
Immagine a cura della redazione
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