L’autore della fuga di notizie “
Suisse Secrets” è sotto inchiesta in Svizzera. Il Ministero pubblico della Confederazione (MPC) ha aperto un incarto penale per spionaggio economico, violazione del segreto commerciale e del segreto bancario. La notizia ci è stata confermata dalla stessa Procura federale.
In questi giorni è uscito edito da Rizzoli il libro “Segreti svizzeri” [nell’mmagine] scritto dai giornalisti investigativi tedeschi Hannes Munzinger, Frederik Obermaier e Bastian Obermayer. Il libro ripercorre l’inchiesta Suisse Secrets pubblicata nel febbraio 2022 dai giornali del mondo intero. L’indagine giornalistica si basa sulle informazioni di un informatore anonimo che ha passato al team d’inchiesta della Süddeutsche Zeitung migliaia di dati bancari del Credit Suisse. Documenti poi verificati, condivisi e analizzati con i giornali di tutto il mondo. Risultato: decine di pubblicazioni che hanno messo in luce la controversa clientela della seconda banca svizzera: dittatori, capi dei servizi segreti, cardinali, corruttori e criminali vari. La pubblicazione oltre tutti era arrivata in un momento in cui la stessa Credit Suisse era sotto processo al Tribunale penale federale (TPF) di Bellinzona per non avere impedito il riciclaggio di decine di milioni di franchi controllati dal boss della mafia bulgara Evelin Banev. Durante la sua requisitoria, la procuratrice federale ha fatto riferimento, senza nominarli, proprio ai “Suisse Secrets”: « Credit Suisse, come dimostrano i casi recenti, sembra sentirsi al di sopra delle leggi del nostro paese» aveva dichiarato in aula Alice de Chambrier.
Il libro uscito in questo giorni non svela chissà che novità, ma presenta questa inchiesta internazionale durata mesi e condotta nella più assoluta riservatezza. L’aspetto forse più interessante è proprio la relazione con la misteriosa fonte e le precauzioni prese nei suoi confronti: prima per verificare che non si trattasse di una bufala e poi per proteggere la stessa fonte e gli stessi giornalisti dai rischi legali a cui avrebbero potuto andare incontro in Svizzera. Nella Confederazione, infatti, per proteggere il segreto bancario si è arrivati a limitare la libertà di stampa. Non a caso, nessun giornalista svizzero ha partecipato all’inchiesta.
Il motivo si cela nell’articolo 47 della legge federale sulle banche, quello che dal 1934 blinda nella legislazione svizzera il caposaldo del segreto bancario. Un articolo introdotto sotto la pressione del mondo bancario e che prevede che tutti gli impiegati e gli organi di una banca che trasmettono informazioni sulla clientela commettono un delitto. Una legge che è stata rinforzata nel 2015, a seguito di un’iniziativa parlamentare del PLR nel contesto di un’aumentata pressione internazionale sulla Svizzera e sulla scia di episodi come gli SwissLeaks, il massiccio furto dei dati dalla filiale ginevrina di HSBC, anch’essa ben presente sul mercato dei dittatori e dei criminali. Allora, il Parlamento ha deciso di estendere la legge a «chiunque, intenzionalmente, divulga un segreto che gli è stato rilevato» in violazione del segreto bancario. Tra questi “chiunque” ci sono beninteso anche i giornalisti, che possono essere imprigionati fino a tre anni in caso di divulgazione di dati sui clienti delle banche.
Dopo la lettura del libro “Segreti svizzeri” abbiamo così chiesto all’MPC se era stata aperta un’inchiesta nei confronti della fonte. Ci sembrava impossibile che Credit Suisse non avesse sporto denuncia. E che la Procura federale non avesse aperto un’inchiesta come avvenuto proprio nel caso di Hervé Falciani, l’ex informatico di HSBC a Ginevra che aveva diffuso i dati bancari della sua banca. Falciani è stato poi condannato nel 2015 in contumacia a cinque anni di prigione per spionaggio economico.
La conferma è arrivata puntuale: «Il Ministero pubblico della Confederazione ha ricevuto una denuncia penale nel contesto da lei citato. A questo proposito, l’MPC sta conducendo un procedimento penale per sospetto di spionaggio economico, violazione del segreto commerciale e violazione del segreto bancario». La Procura specifica di avere ottenuto l’approvazione del Consiglio federale per l’indagine sul reato di “spionaggio economico”. In effetti, si tratta di un cosiddetto “reato politico”. In questo, le autorità di perseguimento penale possono procedere alle indagini soltanto se ricevono il nullaosta del Consiglio federale. Cosa che di norma avviene salvo in casi eccezionali, quando si tratta di tutelare gli interessi preponderanti del Paese. Scontato quindi il via libera ottenuto dal Dipartimento federale di giustizia e polizia e, di conseguenza, dal Governo.
Alla Procura federale il compito quindi, di trovare il misterioso “traditore della patria”.