Le divisioni negli USA e fra Kiev e Casa Bianca un regalo al Cremlino
La spaccatura al congresso americano sugli aiuti all’Ucraina mettono ancor più in posizione di vantaggio Mosca dopo la fallita controffensiva militare dell’esercito di Zelensky
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La spaccatura al congresso americano sugli aiuti all’Ucraina mettono ancor più in posizione di vantaggio Mosca dopo la fallita controffensiva militare dell’esercito di Zelensky
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La spaccatura al congresso americano sugli aiuti all’Ucraina mettono ancor più in posizione di vantaggio Mosca dopo la fallita controffensiva militare dell’esercito di Zelensky
Era prevedibile: la guerra in Ucraina sta diventando una questione di politica interna americana. Come ha scritto il “Washington Post” , pochi giorni fa “i senatori hanno iniziato a incolparsi a vicenda per l’incombente fallimento della fornitura di ulteriori aiuti all’Ucraina, mentre i fragili negoziati su un pacchetto di misure di sicurezza nazionale continuavano ad arenarsi tra le richieste repubblicane di restrizioni all’immigrazione di vasta portata”.
La destra repubblicana chiede a gran voce che sia rilanciata la questione del muro al confine messicano, e prima che venga votata la nuova tranche di aiuti all’Ucraina per 60 miliardi dollari. I democratici sembravano credere che si trattasse un bluff e avevano alzato il tono della polemica. “Non credo ci siano dubbi sul fatto che stiamo per abbandonare l’Ucraina”, aveva dichiarato il senatore Chris Murphy. “Quando Vladimir Putin entrerà a Kiev e in Europa, i Repubblicani dovranno convivere con il fatto che i nostri figli e le nostre figlie saranno a combattere perché Vladimir Putin entrerà in un Paese della NATO”, aveva aggiunto il deputato. Dichiarazione poi ripresa dal presidente Biden. Tensione confermata da Volodomyr Zelensky: avrebbe dovuto appellarsi in diretta video per un voto positivo del Senato; ha invece reagito rabbiosamente, cancellando l’appuntamento.
Il ricatto “neo-con” non è rientrato, come sperava la Casa Bianca, all’ultimo secondo disponibile e Joe Biden ha perso al Senato, seppure sul filo del rasoio, 51 voti a 49. Non si tratta ancora di un rifiuto definitivo dell’invio degli aiuti, ma è chiaro che si sta giocando con il fuoco perché il 97% dei soldi stanziati in precedenza sono già stati spediti a Kiev. Il capo dell’ufficio del presidente ucraino, Andriy Yermak, ha avvertito che c’è il rischio di una sconfitta dell’Ucraina nella guerra con la Russia a causa della mancanza di sostegno da parte degli Stati Uniti. “Se gli aiuti di cui si sta discutendo al Congresso saranno semplicemente rinviati… allora ci sarà il grande rischio che rimarremo nelle stesse posizioni di adesso, che diventerà impossibile avanzare, e ci sarà il grande rischio di perdere questa guerra”, ha dichiarato Yermak.
Il finanziamento è collegato a quello ad Israele, e dovrebbe sbloccarsi. Tuttavia le tensioni a Washington sono destinate ad aumentare tanto più si avvicinerà la data fatidica del 4 novembre 2024, l’election day.
A questo punto nessuno più parla della controffensiva ucraina: anche perché l’esercito russo sta lentamente ma inesorabilmente avanzando sul fronte di Avdiivka, sembra facendo gran uso di fanteria, quindi anche a costo di forti perdite.
Non è quindi un caso che Putin abbia firmato ad inizio mese un decreto che aumenta la forza ufficiale dell’esercito russo, da 2,039 a 2,209 milioni di effettivi, dimostrando che intende sfruttare a fondo le incertezze e le divisioni occidentali. Divisioni che prendono anche la forma di voci su incomprensioni di fondo tra lo stato maggiore ucraino e quello americano.
Due giorni fa il “Moscow Times”, un giornale in lingua russa nettamente schierato con l’Ucraina, e sempre bene informato, ha sostenuto che “gli ucraini e gli alleati occidentali riponevano grandi speranze nella controffensiva. E gli Stati Uniti avevano contribuito a sviluppare il piano dell’operazione insieme al comando delle forze armate ucraine, organizzando ben otto incontri del comando e dello staff”. L’articolo è pieno di dettagli interessanti che meritano di essere riprodotti per esteso:
“Le forze armate statunitensi ritenevano che le unità ucraine potessero sfondare le difese a Zaporizhzhia, raggiungere il Mar d’Azov in tre mesi, e liberare Melitopol. (…) Negli Stati Uniti, l’ex capo di stato maggiore Mark Milley e il segretario alla difesa Lloyd Austin ritenevano che le forze armate ucraine avessero armi e addestramento sufficienti. Le previsioni dei servizi di intelligence statunitensi erano in realtà assai più prudenti: le probabilità erano state stimate al 50% di possibilità di riuscita (…) Il comando ucraino lanciò un’offensiva in tre direzioni: a est e a sud, a Zaporizhzhia e al confine tra le regioni di Zaporizhzhia e Donetsk. Inoltre, l’esercito statunitense non capiva perché gli ucraini si tenessero stretti a Bakhmut”. Una ricostruzione verosimile ma che necessita di ulteriori conferme.
Naturalmente queste “rivelazioni” si inseriscono anche in un intricato dibattito e scontro di cui per ora non si possono cogliere tutte le ricadute perché si colloca in un quadro ancora non completamente definito. Infatti, secondo la stessa fonte riservata del “Moscow Times”, l’Ucraina vorrebbe fare un altro tentativo di contrattacco. In quale direzione, con quali tempistiche, e soprattutto con quali possibili esiti è naturalmente difficile prevedere.
Nell’immagine: il capo dell’ufficio del presidente ucraino, Andriy Yermak
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