Le mani di Putin sul Donbass
Il neo-zar riconosce ufficialmente le autoproclamate Repubbliche indipendenti; di fatto un’annessione di una parte di Ucraina, se non una dichiarazione di guerra
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Il neo-zar riconosce ufficialmente le autoproclamate Repubbliche indipendenti; di fatto un’annessione di una parte di Ucraina, se non una dichiarazione di guerra
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Il neo-zar riconosce ufficialmente le autoproclamate Repubbliche indipendenti; di fatto un’annessione di una parte di Ucraina, se non una dichiarazione di guerra
La sua mossa, Putin l’ha condita e giustificata con un discorso-fiume in diretta televisiva e mondiale. Rivolta in gran parte alla sua opinione pubblica interna, per solleticarla e compattarla sul suo progetto di ‘riconquista patriottica’. Ma, naturalmente, anche ai ‘nemici esterni’. Lo ha fatto lungo quattro direttrici, quattro principali accuse. Primo: l’Occidente non capisce o non vuole capire che l’Ucraina fa ‘storicamente parte della Russia’, quella zarista e in seguito anche quella sovietica, tesi non nuova, già scandita la scorsa estate nell’intervista a un giornale tedesco: Ucraina culla della stessa cultura russa; e qui l’ex ufficiale del KGB di stanza nella Germania dell’Est al tempo del Muro, ne ha avute anche per Lenin (che aveva regalato lo status di Stato all’Ucraina, ma all’interno dell’Unione delle Repubbliche Sovietiche) e per i suoi passivi successori: come dire, voi dell’Ovest, anticomunisti dichiarati, accettate una realtà ereditata dalle forzature storiche del monopolio sovietico. Secondo: Kiev diventata ‘serva’ degli interessi occidentali, dalla rivolta di piazza Maidan in rivolta, dietro cui Mosca ha sempre visto unicamente la mano degli Usa e dell’Europa . Inoltre, l’accusa alle presidenze democratiche ucraine di non aver rispettato gli accordi di Minsk, in particolare l’ampia autonomia promessa al Donbass. Terzo: un’Ucraina nella Nato, prospettiva data per scontata, costituirebbe una minaccia supplementare e di maggiore pericolosità per la sicurezza nazionale, con basi missilistiche americane capaci di colpire e sorprendere il centro di Mosca in una manciata minuti. Quinto: il costante spostamento ad est dell’Alleanza Atlantica, che ha inglobato buona parte degli ex satelliti europei dell’Urss, portandosi fin sotto le mura dell’assediata fortezza russa, causa principale della più esplosiva crisi dell’ultimo trentennio, e forse anche degli stessi anni della guerra fredda.
Lo sappiamo, una parte di questi rimproveri non sono del tutto campati in aria. Gli Stati Uniti, principali teorici e motori dello spostamento a Est della Nato, hanno fatto orecchio da mercante (anche a critiche espresse in America), e hanno trascinato i passivi e svogliati ‘contribuenti’ europei dell’Alleanza, i meno portati a uno scontro sia per indole sia per precisi motivi economici, essendo la Russia il loro principale fornitore di energia (gas e petrolio). Ma non basta questo errore dell’Ovest a giustificare l’uomo del Cremlino, che ragiona e si muove come se non esistesse un diritto internazionale, come se non esistesse la regola dell’integrità territoriale degli Stati nazionali riconosciuti internazionalmente. E nemmeno ce ne voleva una conferma, visto che già sette anni fa Mosca fece sul Mar Nero, nella penisola di Crimea (praticamente staccandola dall’Ucraina e annettendola) ciò che ora sta facendo nel Donbass.
Putin (dopo aver mobilitato, attorno all’Ucraina assediata, il più potente dispositivo militare della storia recente) non poteva certo accontentarsi dell’assicurazione che ‘l’adesione dell’Ucraina nella Nato non è in agenda’, come gli ripetevano soprattutto i mediatori europei che si sono accomodati dall’altra parte del surreale e provocatorio lungo tavolo (nove metri) sistemato nei saloni del Cremlino. Sul punto voleva, e a questo punto chissà se lo chiederà ancora, un impegno scritto sulla neutralità ucraina, intesa che, nonostante le tesi russe, mai ci fu in passato in un documento scritto. Ma forse nemmeno questo sarebbe bastato, visto che il presidente russo aveva tracciato anche perentorie ‘linee rosse’ in base alle quali, sostanzialmente, la Nato avrebbe dovuto fare marcia indietro da diversi punti sul fronte dell’Est. Probabilmente non sarebbe bastato perché l’ambizione di Putin è fondamentalmente quella di inserire la parte di Ucraina riconquistata, e se possibile dell’intero paese, nella dorsale di nazioni euro-asiatiche disposte ad allearsi in un’alleanza polituico-militare a guida russa.
Certo, la sida di Putin (con gli arsenali atomici stracolmi, come ha voluto ammonire lo stesso presidente russo assistendo alle manovre militari in Bielorussia a fianco dell’impresentabile Lukashenko) non è sinonimo di prospettiva di guerra totale lungo le frontiere orientali. L’Occidente non può, non vuole, non deve reagire in armi; non può e non vuole morire per Kiev. Sempre che non si scivoli in una spirale ancora inimmaginabile. Hanno in serbo, americani ed europei, le tanto sbandierate sanzioni economiche, che stavolta definisce devastanti, ‘di una durezza senza precedenti’, anche perché stavolta si tratterebbe di mettere al bando la Russia dal sistema finanziario internazionale. Putin, benché sostenuto dalla Cina, non può non aver messo in conto le pesanti ricadute anche sulla sua economia. Gazprom potrebbe veder sfumare buona parte del 7 miliardi che l’Unione europea gli versa ogni mese, e Mosca potrebbe essere costretta ad intaccare le riserve da 600 miliardi di dollari detenute dalla Banca centrale russa. Se fino a ieri si parlava di un neo-zar che si era messo in un angolo e che rischiava di perdere la faccia, oggi la mossa del neo-zar inverte le posizioni. Con prospettive comunque incerte. E assai inquietanti.
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