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Le medaglie si contano, ma soprattutto si pesano
Naufragi

Le medaglie si contano, ma soprattutto si pesano

Riflessioni laiche sul medagliere olimpico


Marco Züblin
Marco Züblin
Le medaglie si contano, ma soprattutto si...
• 10 Agosto 2021 – Marco Züblin

Nel periodo elettorale i contributi di candidate e candidati sono benvenuti sulla nostra zattera secondo queste regole

I Giochi Olimpici sono, come si sa, una bella ed emozionante metafora della vita, tra vertiginose ebbrezze e profondi drammi, trionfi e disillusioni, storie di riscatto sociale e commoventi drammi umani; ma sono anche il luogo in cui le nazioni regolano, attraverso i risultati sportivi, qualche conto aperto in ambiti che non c’entrano nulla con lo sport. Il medagliere cristallizza il risultato di questo regolamento di conti planetario: a Tokio, “vittoria” al fotofinish degli USA sulla Cina, che per alcuni è quella del “mondo libero” sul capitalismo di Stato. Ma che cosa ci dice il medagliere olimpico sullo stato di salute dello sport di élite, e sullo sport in generale, nelle singole nazioni? Qualcosa ci dice, ma non tutto; anzi, qualche volta qualcosa di non aderente ai fatti, addirittura di fuorviante. Qui un paio di riflessioni sul tema, da laico e solo con l’ambizione di suscitare qualche più interessante nota da sponde e da pulpiti ben più legittimati del mio

1. Il medagliere olimpico offre una classifica non sulla base del numero di medaglie, ma considerando come prioritari il numero di ori, poi quello di argenti e, infine, quello dei bronzi. In questo modo non si dà una valutazione corretta del risultato nazionale nell’insieme delle discipline olimpiche, e di riflesso dello stato di salute degli sport (e dello sport in generale) nei vari Paesi. Potremmo ad esempio vedere in testa una nazione che ha collezionato ori in talune discipline che ne mettono in palio parecchi (sollevamento pesi, lotta, judo, karate, boxe, vela, ad esempio), e nulla nel resto.  Un risultato che non pare in linea con lo spirito olimpico. Probabilmente il numero di medaglie sarebbe un criterio migliore, con adeguata ponderazione tra i vari metalli (ad es. oro conta 3, argento conta 2 e bronzo conta 1).

2. I risultati dovrebbero anche considerare in qualche modo l’aspetto demografico, che metterebbe in relazione il numero di medaglie con quello di abitanti del Paese in questione.

3. Il criterio demografico può però essere fuorviante, soprattutto se non viene mitigato da considerazioni di natura socioeconomica. È evidente che un Paese piccolo ed economicamente sviluppato (USA, Svizzera, Paesi UE) può offrire opportunità di crescita a sportivi di élite, e a potenziali olimpionici, ben più di un Paese molto popolato ma in situazione assai meno favorevole dal punto di vista della situazione economica e delle opportunità (Bangladesh, Siria; per altri versi, anche Cina e India).

4. Vi sono poi casi in cui atleti provenienti da nazioni sfavorite hanno potuto beneficiare di una possibilità di crescita in quanto trasferitisi in Paesi sviluppati (es.  atleti africani allenati e formati nelle università americane). Un elemento che in una certa misura mitiga l’effetto del criterio precedente, ma non del tutto, in quanto solo atleti con un riconosciuto potenziale di crescita possono accedere a questa opportunità.

5. A qualche sovranista o cripto-neo-fascista piacerebbe un altro criterio, se non che la sua applicazione condurrebbe a ridimensionare grandemente i risultati dei loro stessi Paesi: è quello che consiste nel valutare i risultati sulla base del grado di “aborigeneità” degli atleti, cioè sulla base della loro “purezza etnica” (per dire: contano medaglie solo di svizzeri nati da genitori nati svizzeri). In effetti, alcuni dementi preferirebbero nessuna medaglia a una medaglia vinta da un’atleta non “aborigeno”. Siamo ancora lì, purtroppo, e anche in Svizzera.

6. Una variante invece sdoganabile del criterio precedente porterebbe a prendere in conto, nella valutazione, il fatto che atleti – per ragioni diverse, in specie economiche – sono stati convinti a prendere la cittadinanza di un Paese, che si trova così olimpicamente beneficiato senza reali meriti (ad es. atleti che evolvono sotto la bandiera di Stati del Golfo, ma con una cittadinanza acquisita per meri meriti sportivi, e magari si allenano negli USA).

7. Infine, non tutte le medaglie sono uguali. Non ci sono molti dubbi che quelle nell’atletica, nella ginnastica o nel nuoto hanno una valenza olimpica e sportiva superiore a quella ottenuta in altri sport. E questo non solo per la diffusione mondiale di taluni sport e per il numero di praticanti; ad es. l’oro nel calcio vale pochino, e addirittura l’assai praticato baseball si appresta ad uscire dai Giochi.  Anche in questo caso, una ponderazione tra le varie medaglie potrebbe essere equa per valutare l’esito dei Giochi.

Insomma, i risultati raggiunti dalle varie nazioni ai Giochi Olimpici dovrebbero essere oggetto di una valutazione un po’ più articolata di quella desumibile dal medagliere, anche per poter capire quanto uno Stato fa effettivamente per la promozione dello sport di eccellenza. Tutto questo al netto del giusto entusiasmo e della, comprensibile, retorica trionfalistica associata al numero di medaglie vinte e al rango nel medagliere. Al momento dei Giochi, molti si accontentano dei circenses, dimenticando emergenze di varia natura e addirittura il panem, e offrendo ai governanti – per interposto medagliere – una immeritata parentesi di requie; poi le luci si spengono, e allora…






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Marco Züblin
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