Le Temps – Anche missionari svizzeri nel Canada delle stragi
Uno storico lucernese ha studiato a lungo la vita e le sopraffazioni subite soprattutto da migliaia di bambini nativi, molti dei quali scomparsi
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Uno storico lucernese ha studiato a lungo la vita e le sopraffazioni subite soprattutto da migliaia di bambini nativi, molti dei quali scomparsi
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Uno storico lucernese ha studiato a lungo la vita e le sopraffazioni subite soprattutto da migliaia di bambini nativi, molti dei quali scomparsi
Manuel Menrath, ricercatore all’Università di Lucerna, ha studiato per anni la storia dei popoli autoctoni dell’America del Nord. Poi ha voluto raccoglierne le testimonianze dalla loro viva voce. Si trasferisce dunque in Ontario, per incontrarvi le popolazioni di Cris e d’Objiwés, “in riserve così appartate che nessuna strada è in grado di portarvi sul posto”, racconta al telefono.
Circa 40.000 persone appartenenti alle ‘prime nazioni’ vivono attualmente a settentrione di questa provincia canadese. Menrath è rimasto sconvolto dai racconti sulle atrocità commesse “nelle scuole residenziali”, istituti in cui i bambini indigeni venivano trasferiti con la forza, e maltrattati. Per lo più dirette da sacerdoti cattolici, le “scuole residenziali” hanno accolto 150.000 bambine e bambini nativi canadesi, nel periodo fra il 1850 e il 1996. Su questi incontri, lo storico lucernese ha recentemente pubblicato il libro “Unter dem Nordlicht”.
Da alcune settimane il grande pubblico scopre con orrore questo buio capitolo legato alla creazione del Canada moderno, con l’esumazione di resti umani da fosse comuni, situate attorno agli istituti religiosi. Episodi traumatici che in realtà si estendono ben al di là delle frontiere nazionali. “Si tratta anche di una storia europea, e di una storia svizzera”, sottolinea Manuel Menrath: infatti, fra i missionari che nel XIX secolo hanno contribuito a sradicare la cultura indigena c’erano anche monaci provenienti da Einsiedeln, da Nidvaldo, o da Ginevra.
Manuel Menrath, qual è stato il ruolo dei missionari svizzeri nell’America del Nord?
Esiste un legame diretto fra la ‘Kulturkampf” in Svizzera e in Europa, e le attività missionarie nel Nord America. Messi sotto pressione in patria dalla separazione del religioso dal politico, i monaci fuggirono negli Stati Uniti, e più tardi in Canada. Paradossalmente nel liberalismo nord americano, in cui la separazione Stato- Chiesa era più avanzata, trovarono un terreno fertile alle loro missioni.
Chi erano questi missionari svizzeri?
Martin Marty, partito dalla Confederazione nel 1860, è una delle principali figure. Ha costruito in Canada un monastero ancora più grande di quello di Einsiedeln, da cui proveniva. Ci fu Johan Dolder, un ecclesiastico del Canton Lucerna vissuto nel monastero di Engelberg. Il monaco ginevrino Louis Rabel. O ancora dei monaci del convento Maria Rickenbach nel canton Nidvaldo. Ma non si tratta soltanto di una storia cattolica: “La società delle missioni di Losanna”, protestante, attiva fra il 1983 e il 1945, si era fissata come obiettivo la conversione degli autoctoni del Canada e dell’America del Nord.
Quale influenza hanno esercitato nella storia coloniale di quelle terre?
Negli Stati Uniti erano almeno una cinquantina. In Canada il loro ruolo è meno conosciuto. I missionari erano in difficoltà nel relazionarsi con gli autoctono canadesi. Hanno allora cominciato a costruire scuole allo scopo di renderli sedentari e poterli controllare. Hanno così contribuito a gettare le basi di un sistema destinato ad annientare la cultura indigena.
Cosa ha scoperto nei colloqui con gli autoctoni?
Ci sono ancora circa 8.000 persone ancora in vita e che hanno soggiornato in un pensionato. Si auto-definiscono “sopravvissuti”, e questo già spiega molto della sorte che era riservata ai piccoli ospiti. Le storie che raccontano sono atroci, quasi inimmaginabili. I bambini venivano sottratti alle famiglie. Si tagliavano loro i capelli. Gli si proibiva di parlare la loro lingua. Una donna mi ha raccontato di essere stata picchiata così forte da aver perso l’udito da un orecchio. Un’altra di aver subito violenza da un prete dopo essere stata legata sulla sedia di un dentista. Per punire i minorenni, gli insegnanti infliggevano loro scariche elettriche, fino al punto di farli svenire. Un uomo mi ha mostrato le bruciature di sigarette sulla schiena. Altri raccontano la storia di bambini catturati durante un tentativo di fuga, e che non sono mai riapparsi.
Qual era il principale obiettivo delle “scuole residenziali”?
Si trattava di scuole statali, il cui obiettivo, fissato dalla legge, era l’educazione delle popoli autoctoni. In realtà, si trattava di un’operazione per l’annullamento della cultura indigena. Si pensava che sottraendo i bambini nativi dal loro contesto si sarebbero integrati nella società dominante. L’obiettivo, comunque, non era quello di farne delle élite, ma della mano d’opera a buon mercato
I suoi interlocutori le hanno parlato di violenze commesse da insegnanti svizzeri?
Fra loro diversi mi hanno raccontato di aver avuto insegnanti svizzeri, senza tuttavia associarli a particolari atti di violenza. Ma il semplice fatto che degli Svizzeri abbiano operato in quelle scuole significa che hanno contribuito a un sistema ‘genocidario’
Perché le fosse comuni vengono scoperte soltanto ora?
Gli autoctoni si battono da tempo per scoprire la verità sui figli scomparsi. La ‘Commissione verità e riconciliazione’ (CVR) ha pubblicato nel 2015 un rapporto spaventoso, che denunciava maltrattamenti e sparizioni. Ciò che mi ha colpito, è il numero elevato delle scoperte. E ancora non si è terminato….Tutto questo riapre profondi traumi. Al tempo stesso però si tratta di un lavoro necessario per la ricostituzione della memoria. Che gente di tutto il mondo si commuova e si rattristi per questi orrori, consente di al dolore di esprimersi. La particolarità di questo mio lavoro di ricerca sta nel fatto che le vittime siano ancora in vita e sono profondamente segnate. Tra gli autoctoni del resto si registrabo tassi di suicidio molto più alti della media, così come per povertà, alcolismo e tossicodipendenza.
Qual è la responsabilità della Svizzera?
In quanto Stato la Confederazione non ha responsabilità particolari. Tuttavia non dobbiamo credere che questo problema sia un problema che riguardi solo Stati Uniti e Canada: dei coloni svizzeri hanno contribuito all’imperialismo e alla cancellazione delle culture indigene. Tuttavia non ne siamo coscienti. Un esempio che dice molto: nel volume di riferimento per la geografia delle scuole secondarie, nella Svizzera tedesca, l’episodio che concerne la vita degli Inuits in Canada nemmeno menziona le riserve della popolazione nativa, l’esistenza delle “scuole residenziali”, dei trasferimenti forzati, nemmeno lo sterminio degli autoctoni. Si presenta un’immagine romantica e lontano dalle realtà di questo paese.
Da Le Temps, 6 luglio 2021
Nell’immagine il missionario svizzero Martin Marty con due sacerdoti davanti ad un collegio nel Dakota del Sud (archivio privato dello storico Manuel Menrath)
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