Osare si può
In prima serata televisiva alla RSI uno speciale dedicato all’Afghanistan
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In prima serata televisiva alla RSI uno speciale dedicato all’Afghanistan
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In prima serata televisiva alla RSI uno speciale dedicato all’Afghanistan
Curata dal giornalista Roberto Antonini e dal regista Philippe Blanc, con la conduzione di Francesca Mandelli, lo speciale dedicato all’Afghanistan è andato in onda lunedì 13 dicembre su Rete Due e, televisivamente, su LA2 in prima serata e in diretta dallo studio 2 della radio, messo a lucido da un allestimento scenico semplice ma caldo, grazie alla fotografia di Riccardo De Giacomi.
Davvero “speciale” trovare sul piccolo palco, in quella sede, un ensemble come quello di Kabul, per far risuonare echi e sonorità che vengono da lontano, nello spazio e nel tempo, e che appartengono così strettamente a quell’”anima dell’Afghanistan” cui si è voluto dare voce grazie alle testimonianze, coraggiose e toccanti, degli ospiti invitati.
Così, in novanta minuti di programma la RSI ha forse lanciato un segnale verso chi si aspetta, dalla televisione di servizio pubblico, un maggior “impegno culturale”, maggior coraggio, capacità di osare.
In un periodo in cui all’emittente pubblica si rimproverano derive discutibili e tristi, sul versante dell’attenzione alla produzione libraria per esempio, eccoci davanti a una proposta certamente “rischiosa” e sorprendente di un “prime time” fortemente “mirato”; un programma che ha invitato lo spettatore ad immergersi in un mondo ed una cultura che a fatica si può dire di capire davvero attraverso i reportage e gli approfondimenti giornalistici offerti non solo da noi. Difficile cogliere fino in fondo, compiutamente, il senso delle drammatiche vicende afghane dopo l’abbandono del paese da parte degli Stati Uniti ed il ritorno del dominio oscurantista dei Talebani.
Una storia che è riecheggiata in studio nelle diverse testimonianze, da quella del giornalista Maasood Senjar sulla propria esperienza propriamente civile, di raccontare il paese in presa diretta sulle onde della principale radio afghana, a quella di Jamileh Amini, da anni rifugiata in Ticino, che si è fra l’altro soffermata, non senza tradire commozione, sulla tragica situazione della condizione femminile nel suo paese.
Insomma, quello dello “speciale Afghanistan”, è da considerarsi un progetto importante, non solo in quanto tale, ma anche come indicatore di quella che si spera possa essere, da parte della RSI, una nuova linea editoriale e di attenzione alla cultura, nei suoi aspetti più diversi, che sembra intanto ancora per molti versi irrisolta, non affrontata, nascosta, ignorata (a seconda dei punti di vista).
L’augurio è che da qui si parta, con il coraggio necessario, pronti anche a sfidare la mannaia dei famigerati indici d’ascolto, per proporre “eventi” capaci di aprire nel pubblico nuovi orizzonti, farci uscire dalla spirale ombelicale in cui l’Azienda pare essere stata risucchiata. Guardare anche più in là, per riflettere, per cercare di capire.
Sulla scorta del lodevole esempio di lunedì scorso, si potrà in futuro magari anche considerare maggiormente la necessità di dare un “contesto” più chiaro alle testimonianze, per aiutare ancora di più lo spettatore non solo a condividere le emozioni, ma anche a riflettere su tematiche così complesse e “raccontare” al meglio quanto si sa, si conosce, ad un pubblico ampio e indistinto come quello televisivo. Esercizio quanto mai difficile, ma molto stimolante.
Chissà se il nuovo responsabile della Cultura, Vanni Bianconi, saprà trovare la formula giusta. Lui che, dopo la nomina ha dichiarato che le prime parole che gli sono venute incontro sono “precisione” e “umiltà” forse saprà spiegare a noi, che le parole dobbiamo per lo più andare a cercarle, quali siano quelle giuste ed umili che gli sono venute incontro per fare di questa “serata speciale” solo il primo esempio di una rinnovata offerta televisiva culturale del servizio pubblico.
Il pubblico, fiducioso, se lo meriterebbe.
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