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Tesla. Vi dice qualcosa? Oggi un quindicenne vi risponderebbe: è l’auto elettrica, zio! E in effetti è diventata – da molti punti di vista – la vettura elettrica per antonomasia. Peccato che il personaggio a cui deve il marchio passi in secondo piano. Già, perché prima di Tesla Inc. c’era un tal Nikola Tesla. Scienziato straordinario, bizzarro, visionario, controverso – ne sa qualcosa Guglielmo Marconi!

Parto da Tesla per parlare di auto elettriche soprattutto perché sia il personaggio storico sia l’azienda americana che ne ha preso a prestito il nome esemplificano bene la complessità del dibattito che ruota attorno alla “nuova” – si fa per dire – mobilità a emissioni zero. Elon Musk e Nikola Tesla: due figure assolutamente visionarie, audaci, intelligenti… non necessariamente simpatiche, ma certamente carismatiche. Con un pregio su tutti: saper anticipare i tempi.

Ed ecco la questione. Chi affannosamente deve inseguire il precorritore non sempre lo fa per proprio desiderio e per propria scelta. Fu così per molti “concorrenti” di Nikola Tesla ed è così oggi per l’industria automobilistica tradizionale, costretta a rincorrere un Musk sempre una spanna più avanti.

La posta in gioco la conosciamo tutti ormai. La riduzione di queste maledette emissioni di CO2, dietro le quali però si celano anche strategie geopolitiche e squisitamente industriali. Alla fine – lo sappiamo – guideremo tutti un’auto elettrica. Così pare. E tutti si danno da fare per proporre la miglior auto elettrica.

Il problema, oggi come oggi, è: chi vuole per primo pagare il prezzo forte della transizione? Perché per arrivare là dove pone lo sguardo chi è lungimirante, beh, un pezzo di strada con la lingua a penzoloni bisogna pur farlo! E io non ne ho voglia, lo confesso. Certamente sbaglio, ma non mi va. Per tre ragioni molto concrete.

Parto da un dato di fatto. Le auto più vendute in Europa appartengono in larga parte al cosiddetto “segmento C” (le dimensioni di una Golf tanto per intenderci). Declinate in crossover, mini-SUV, ecc. ma pur sempre in segmento C. Io non faccio eccezione. Per una ragione che condivido con milioni di altri automobilisti: il prezzo e soprattutto, appunto, le dimensioni. Con una larghezza media di circa 180 cm (a specchietti ripiegati) e una lunghezza di poco più di 400 cm l’auto “C” si adatta perfettamente alle stradine dei borghi europei, ai parcheggi urbani striminziti, alle autorimesse dagli spazi poco generosi – pur offrendo maggior comfort rispetto a una citycar. Con un buon motore diesel ha un’autonomia di mille chilometri, costi d’esercizio contenuti, la scelta dei modelli è vasta e per ogni tasca. Ora, date un’occhiata al sito ev-database. org e ditemi quanti modelli elettrici trovate in segmento C. Saranno cinque o sei. Prezzo talvolta esuberante e autonomia quantomeno deludente (tra i 250 e i 350 km). Un unico modello arriva a 450 km, con un prezzo però che si avvicina pericolosamente ai 50’000 CHF. Attenzione: 450 km WLTP! In altre parole, una norma armonizzata globale che pur avvicinandosi alla realtà non la riflette del tutto. Per esempio, in autostrada a 120 km/h costanti quell’autonomia teorica va ritoccata al ribasso di almeno 80 o forse 100 km. Se fuori sono 0°C abbassate l’autonomia di altri 50 km. Insomma, se in gennaio voglio andare da Chiasso a Berna (e ritorno)… probabilmente dovrò prevedere almeno due soste lungo il tragitto per ricaricare l’auto. Con la stessa vettura a motore diesel faccio andata e ritorno e poi andata e mi rimane ancora del carburante. Tuttavia, non è questo l’argomento principe. In fondo si tratta di non inquinare, giusto? Tra l’altro potete anche optare per i segmenti elettrici D, E o F. Con prezzi a partire da 60’000 CHF e dimensioni nonché tonnellaggio da TIR. Per contro l’autonomia è migliore: ti credo, la batteria è più grande. Ovviamente lo scopo dell’esercizio è potersi fare una tranquilla vacanza sciistica a Verbier, una trasferta di lavoro a Ginevra o andar per mostre a Basilea. Insomma, non parliamo di tragitto casa-Migros-casa.

E qui arrivo al mio secondo punto. La ricarica. Sempre con il mio modello in segmento C da quasi 50’000 CHF. Mi chiedo: quanto vale il mio tempo? Se ne ho da buttar via forse poco o nulla, ma per molti il tempo ha un valore. I geni del marketing ti dicono “hey, puoi ricaricare la batteria in appena 35 minuti dal 20 al 80%”. Fantastico. Ma omettono di aggiungere che questo avviene a patto di trovare una colonnina da 150 kW a corrente continua (DC), cioè i cosiddetti punti “high power charging”… che rappresentano l’1(uno) percento dell’infrastruttura di ricarica svizzera (e in Europa non sono messi molto meglio). È il TCS a dirlo, non io. Praticamente delle mosche bianche. Oltretutto con tariffe a dir poco esose. Ci si può accontentare di una colonnina meno performante ma pur sempre considerata “veloce”: 50 kW. Ipotizzando di avere una batteria tra i 70 e gli 80 kW, dobbiamo attendere ca. 70 minuti per portarla dal 20 al 80% di carica. Un’ora e dieci. Ammazza! Però la stragrande maggioranza delle colonnine che incontreremo sarà di 11 kW o 22 kW in corrente alternata. Parliamo di ore e ore di attesa. Spesso in luoghi squallidi. Quel viaggio Chiasso-Berna rischia di diventare un’Odissea. Rifaccio la domanda: che valore ha il vostro tempo? Tesla Inc. merita un discorso a parte, poiché il visionario Musk fin dall’inizio aveva previsto un’infrastruttura ultra-performante che accompagnasse la vettura. Well done buddy! Gli altri – da copione – arrancano.

Arrivo al terzo punto, facendo un preambolo. Vi ricordate nel lontano 2007 quando il primo smartphone con la mela arrivò sul mercato? Sono andato a leggermi i rapporti Bloomberg sulla frequenza delle vendite degli smartphone da quel 2007 al 2017. Ebbene, nei primi sette anni la curva è praticamente verticale. La gente cambiava quasi ogni anno il telefonino, poiché lo sviluppo tecnologico di Apple e dei suoi concorrenti era rapidissimo e ogni nuova generazione di smartphone rendeva quella precedente quasi ridicola. A partire dal 2015 la curva ha iniziato ad addolcirsi e negli ultimi anni è diventata quasi orizzontale. Perché? Perché la tecnologia ha raggiunto una sua maturità, per cui tra un modello e il suo successore ci sono solo dei marginali miglioramenti che non rendono di fatto interessante cambiare il telefonino. Di conseguenza adesso le persone si tengono il proprio smartphone anche cinque anni. Questo fenomeno lo vediamo oggi con le auto elettriche. Nei prossimi cinque o sette anni vedremo dei passi da gigante nella tecnologia delle batterie e dei motori. Il ritmo di obsolescenza tecnologica dei veicoli elettrici non sarà forse così drammatico come negli smartphone, ma sufficiente per generare un ricambio di automobili ben superiore alla media – grazie anche agli astuti piani di leasing. Ma aspettate: lo scopo non era quello di promuovere l’auto elettrica per essere più eco-friendly? Cambiare l’auto come si cambiano le mutande – fossero pure (entrambe) elettriche – non mi pare molto ecologico. Costruire un’auto elettrica non è “ecologico”. Niente affatto. E recapitarla via mare al felice proprietario nemmeno. Una nave cargo inquina – si stima – come cinquanta milioni di veicoli a combustione.

Per questi tre motivi (e altri ancora) lascio volentieri percorrere agli altri le lunghe miglia da qui a quel punto ideale, al quale ci aspettano pazientemente i lungimiranti. Quando cioè il mercato avrà finalmente una gamma credibile di auto del segmento C, a prezzi decenti, con autonomie davvero convincenti e un’infrastruttura di ricarica che non ci faccia rimpiangere i vapori nauseanti dei carburanti fossili. Ah… dimenticavo: e che l’auto possa durare almeno otto anni senza apparire come un pitecantropo paragonato a Homo sapiens.

Certo, è una scelta opportunistica la mia. Aspetto che siano gli altri a finanziare la maturità della “nuova” mobilità a emissioni 0, ma tant’è. Nel frattempo, mi tengo il motore a scoppio con mille sensi di colpa, compreso quello del mio cronico ritardo all’appuntamento con il futuro. Proprio il contrario di Elon Musk e di Nikola Tesla. Accidenti a me.






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