Quel che è successo la sera del 29 maggio a Lugano in viale Cassarate sul sedime dell’ex macello
“ha dell’incredibile”; inoltre
“è pacifico” che quella sera
le autorità commisero almeno un reato dato che
“l’elemento oggettivo… è stato adempiuto”. Tranquilli, non lo diciamo noi, e non lo dice neppure il molinaro di turno: lo afferma papale papale il procuratore generale Andrea Pagani nel suo decreto di non luogo a procedere contro il vicecomandante della polizia cantonale e la municipale di Lugano Karin Valenzano Rossi.
Decreto che abbiamo potuto visionare e dal quale emerge anche che in alcuni casi le versioni tra Polizia e Municipio divergono, per cui, come scrive Pagani, resta “aperta la questione a sapere quale delle due posizioni sia quella aderente alla verità”, ossia chi tra agenti di polizia e municipali abbia se non mentito per lo meno omesso qualcosa di fronte al procuratore generale. Ammettiamolo, indipendentemente da come si giudichi la vicenda, non una bella cosa.
Ma veniamo al documento. Si potrà anche non condividerne le conclusioni, ma bisogna pur ammettere che il pg il suo lavoro di ricostruzione di quanto successo quella sera l’ha fatto. Ed è di questo che ci occuperemo, non delle considerazioni giuridiche che riporta: ai giudici, visto che c’è un ricorso in ballo, la futura sentenza. E i fatti dicono questo (silenzio, parla Pagani…).
Tutto ebbe inizio l’11 marzo 2021, giorno in cui il Municipio di Lugano, a maggioranza, decise di sgomberare l’ex macello “quando ritenuto più opportuno da polizia comunale e polizia cantonale”, ma comunque entro il 18 marzo. Lo stesso giorno va in scena una videoconferenza (si era in periodo di restrizioni sanitarie) alla quale partecipano i comandanti delle due polizie e l’esecutivo cittadino. Non è specificato chi fosse presente per il Municipio, ma più avanti è riportato che a questo tipo di riunione partecipavano sempre e solo il fu sindaco Marco Borradori e il municipale responsabile, ossia prima delle elezioni di aprile Michele Bertini, poi Karen Valenzano Rossi.
Sia come sia, i due comandanti “hanno evidenziato [al Municipio, ndr.] i possibili scenari a seguito dello sgombero coatto o non coatto”. La sera dell’11 marzo il comandante della Cantonale ha poi incaricato il suo vice di pianificare, con l’ausilio della Comunale, l’eventuale sgombero. Per questo è stato creato uno Stato maggiore, “composto da ufficiali della polizia cantonale e da un ufficiale della polizia comunale”. In totale “una quindicina di ufficiali” (ci si permetta un commento: non sono un po’ tanti?).
Piccolo particolare ma importante: si è “iniziato a ipotizzare da subito anche degli interventi di natura edilizia”, in modo da evitare una rioccupazione degli spazi da parte degli autogestiti. Due le ipotesi: la “muratura degli accessi agli stabili” e “la demolizione totale dello stabile ubicato a sud del comparto”.
Il giorno dopo, la mattina presto, iniziano gli scambi di mail tra i vari corpi e ufficiali di polizia per capire cosa e come fare. Scambi rapidi, visto che già alle 10.35 arriva la risposta definitiva, ossia la conferma che lo stabile occupato dai molinari “si può procedere a demolirlo subito” dopo il previsto sgombero. In proposito viene però immediatamente evidenziato come “ai fini legali e procedurali” per dar seguito alla decisione è necessaria una licenza ad hoc. Licenza edilizia, annota Pagani, che tuttavia “non solo non è mai stata rilasciata; non è mai stata chiesta”.
Forse perché il 18 marzo, data fatidica entro la quale l’ex macello doveva essere sgomberato, il Municipio, “dopo aver preso atto di un parere della Divisione affari giuridici, (…) è tornato sui suoi passi”, annullando la prima disdetta per inviarne una nuova, con termine di 20 giorni. Tale disdetta, del 22 marzo, è stata affissa sul cancello di entrata del Centro. Prima conseguenza, i lavori preparatori dello Stato maggiore vengono congelati; seconda conseguenza, il Municipio invierà il 14 aprile una diffida con termine di 10 giorni per lo sgombero dello stabile, e il 14 maggio emanerà la decisione di esecuzione, dichiarandola “immediatamente esecutiva”.
Nel merito il procuratore generale Pagani afferma che “non è competenza dello scrivente magistrato rispondere al quesito se questa procedura, sotto il profilo del diritto amministrativo o civile, sia corretta”, un’affermazione che lascia aperta la porta a varie interpretazioni; ci chiediamo inoltre se un Municipio in cui siedono quattro persone che hanno studiato diritto abbia bisogno di un parere giuridico per sapere come procedere a uno sfratto, una procedura amministrativa in sé non complicatissima (e nümm a pagum, direbbe qualcuno).
Ma torniamo alla nostra storia. Il 6 maggio si svolge una riunione tra una delegazione dello Stato maggiore, il sindaco Marco Borradori e la municipale Karen Valenzano Rossi. E qui le versioni tra le parti iniziano a divergere: da una parte la polizia che afferma, verbale ad uso interno alla mano, che ai due municipali è stato prospettato tutto quanto poi successo, ossia la demolizione dello stabile; dall’altra i due che negano “assolutamente” qualsiasi allusione all’abbattimento dello stabile.
Qui è la seconda volta che il pg Pagani si permette un commento. Leggiamo testualmente: “Pur facendo fatica a credere che durante la riunione non si sia mai accennato almeno genericamente all’ipotesi di una demolizione, può rimanere aperta la questione a sapere quale delle due posizioni sia quella aderente alla verità”. Ci sembra però che non si faccia molta fatica a intuire da che parte penda il magistrato.
Ma continuiamo con la cronologia dei fatti. Dopo la riunione del 6 maggio, e dopo l’annuncio della manifestazione del 29 da parte degli autogestiti, la polizia in un rapporto del 26 maggio chiede se “ammesso che si dovesse presentare l’occasione per opportunità, il Municipio è d’accordo a dare e ribadire il suo nulla osta allo sgombero forzato? Oppure, considerato come allo stato attuale si stia valutando un possibile canale di dialogo con il Molino, ritiene preferibile un “non intervento” della polizia per lo sgombero?”.
Se non intendiamo male, persino la polizia avverte implicitamente il Municipio che se si sgombera, il “canale di dialogo” fatalmente si chiuderà. Malgrado ciò il giorno dopo l’esecutivo luganese “concede il nulla osta allo sgombero”, ma solo “se la manifestazione degenerasse, la polizia dovesse intervenire, oppure dal profilo tattico-strategico sia indicato effettuare lo sgombero”.
E arriviamo finalmente al 29 maggio. Tutto tranquillo all’inizio, tant’è che, come dichiarato dal vicecomandante della polizia cantonale, “attorno alle 18 l’opzione sgombero era completamente fuori dai nostri piani”. Poco dopo però l’occupazione dello stabile disabitato della Fondazione Vanoni in via Simen determina la svolta. Con un piccolo cortocircuito temporale che il pg non approfondisce: alle 19.45 una delegazione della Fondazione ha sporto formalmente denuncia contro i manifestanti, ma già alle 19.35 due membri dello Stato maggiore avevano telefonato alla municipale Karen Valenzano Rossi per sapere se “la manifestazione era da considerarsi degenerata”. Dopo un rapido giro di telefonate a tutti e sei i colleghi, alle 19.53 “il Municipio a maggioranza dava il nulla osta allo sgombero”, che è poi iniziato alle 20.39 e si è concluso alle 20.53. “Pacificamente”.
Notiamo qui che il pg Pagani non ha neppure approfondito la questione della mail resa pubblica da Unia (e riportata da Naufraghi/e) e smentita dalla polizia, secondo cui già alle 17.50 era stata contattata una ditta per la demolizione dell’ex macello. Confermata invece la telefonata delle 20.10 a un ingegnere alle dipendenze del Comune di Lugano per sapere se era “in grado di reperire delle maestranze” per “piccoli lavori di muratura” (non di demolizione, dunque). La risposta, affermativa, è arrivata alle 20.18, l’avviso alle ditte di intervenire alle 21.15. Tuttavia durante quest’ultima telefonata la polizia ha pure chiesto se l’impresa “avesse a disposizione una pinza demolitrice”. “Ricevendo risposta negativa” è stata indirizzata a un’altra ditta.
Ai responsabili delle due imprese sorge però spontanea una domanda: se ci avete chiamati per piccoli lavori di muratura, cos’è che dobbiamo demolire? Giusto per sapere se il materiale richiesto “andava bene per i lavori concreti”. Si decide quindi per un sopralluogo, che avverrà verso le 22.30.
E qui inizia quella che il pg Pagani definirà poi “claudicante passaggio comunicativo”, noi armata Brancaleone allo sbaraglio: alle 21.26 il responsabile di una delle due imprese telefona al citato ingegnere comunale segnalandogli che gli erano stati chiesti macchinari per una demolizione; l’ingegnere chiede lumi alla polizia comunale che dapprima si dichiara all’oscuro (21.32), poi (21.36) dopo essersi informata presso i colleghi dello Stato Maggiore ammette, specificando però che “non vi è ancora nessuna decisione definitiva”.
Quello che non sapevano è che alle 21.20 alla municipale Karen Valenzano Rossi era stato chiesto se il Municipio autorizzava la demolizione “del tetto ed eventualmente una parete” dello stabile dove solitamente stavano gli autogestiti. Segue consultazione telefonica non di tutto il Municipio ma solo di quattro colleghi, e alle 21.27 alla polizia arriva il nulla osta a procedere. A questo punto l’ordine viene impartito dai vertici della polizia ai vari sottoposti.
“Quel che poi succede ha dell’incredibile”
Queste sono le parole del pg Pagani, che parla anche di “incomprensibile improvvisazione comunicativa”.
Riassumendo quanto emerso: a capo dell’operazione vi era un ufficiale che era stato inserito nello Stato maggiore solo a metà maggio, che ha dichiarato di non sapere quale stabile doveva essere murato/abbattuto. Di conseguenza ha comunicato all’ufficiale sul campo “che si doveva abbattere una parte dell’ex macello, senza specificare cosa si intendesse per una parte”.
Ma neppure l’ufficiale sul campo sapeva quale edificio e cosa si dovesse abbattere, per cui, rendendosi conto che non sarebbe stato “in grado di eseguire l’ordine”, chiede “esplicitamente che venisse sul posto qualcuno che se ne intendesse”.
Seguono altre telefonate, di cui vi risparmiamo il contenuto. Infine, alle 22.28, al povero ufficiale arriva via Whatsapp la planimetria dell’ex macello, con evidenziato in giallo lo stabile da demolire. E lui evidentemente, dato che l’ex macello come noto è composto da più edifici, ha capito “che bisognava demolire tutto lo stabile”, appunto una parte del tutto. Così all’una e nove minuti del 30 maggio le ruspe hanno iniziato il loro definitivo lavoro. Da notare come le versioni tra i vari ufficiali di polizia, anche se non si contraddicono nella sostanza, non collimino completamente. E anche questo appare piuttosto preoccupante.
Seguono poi paginate di considerazioni giuridiche sui reati penali ipotizzati, considerazioni su cui come detto non ci addentriamo, e che si possono così riassumere:
- Abuso di autorità: riempito il requisito oggettivo del reato, non quello soggettivo (non luogo a procedere);
- Violazione delle regole dell’arte edilizia: reato non adempiuto;
- Danneggiamento: reato adempiuto. Procedimento penale abbandonato per causa esimente