Se telefonando… Xi Jinping chiama Zelensky
Dopo 14 mesi di guerra, la mediazione cinese entra finalmente in contatto con Kiev, ma il vero nodo da sciogliere è fra Washington e Pechino
Filtra per rubrica
Filtra per autore/trice
Dopo 14 mesi di guerra, la mediazione cinese entra finalmente in contatto con Kiev, ma il vero nodo da sciogliere è fra Washington e Pechino
• – Aldo Sofia
La situazione geopolitica ed i problemi energetici diventano pretesti per aumenti di prezzi immotivati – Lo sostiene Paul Donovan, capoeconomista UBS
• – Redazione
Una proposta "distensiva" che viene dal Financial Times
• – Redazione
Con il rischio per nulla remoto che ci si spari sui piedi
• – Redazione
Luci e ombre del viaggio di Sergej Lavrov in Centro e sud America
• – Yurii Colombo
Quando in nome della causa ambientale si lascia il posto di lavoro e se ne crea un altro fatto apposta per affrontare la battaglia per il clima
• – Redazione
Una vera star mondiale, che dopo "The Banana Boat Song" divenne un alleato fondamentale del reverendo Martin Luther King Jr. durante la lotta per i diritti civili. È morto all’età di 96 anni
• – Redazione
Nel giorno anniversario della Liberazione italiana dal nazi-fascismo, una “vicenda-simbolo” assai poco conosciuta
• – Aldo Sofia
Quando per principi di opportunità i politici si mettono a fare il mestiere degli storici
• – Paolo Favilli
Una poesia poco nota di Pier Paolo Pasolini, del 1953, può esserci d'aiuto oggi, in occasione di un 25 aprile diverso dagli altri, con in capo al governo chi rivendica con orgoglio la storia missina
• – Redazione
Dopo 14 mesi di guerra, la mediazione cinese entra finalmente in contatto con Kiev, ma il vero nodo da sciogliere è fra Washington e Pechino
Già alla prima domanda, perché ora?, le risposte avanzano a briglia sciolta, rabdomanticamente: dalle più verosimili (Pechino non poteva non procedere dopo averlo promesso presentando due mesi fa il suo vago “piano di pace in 12 punti” da sottoporre ad entrambe le parti in conflitto), alle più sospettose (forse il tentativo di fermare o ritardare con una mossa politica ‘amica’ la controffensiva ucraina prevista per le prossime settimane), alle più raffinate (ritrovare agilità economica verso l’Occidente, visto che il Pil della Russia è meno della metà di quello indiano), alle più cervellotiche (rimediare senza perdere tempo alle pazzesche affermazioni dell’ambasciatore di Cina a Parigi, Lu Shaye, secondo il quale nemmeno gli Stati ex satelliti dell’URSS avrebbero diritto di esistere perché nati da un vacuum del diritto internazionale dopo il crollo dell’Unione Sovietica -sic!).
Se Mosca rimane un “alleato senza limiti” (davvero?) più volte declamato, Kiev era fino al momento dell’invasione un partner commerciale di una certa taglia per gli strateghi della “Via della Seta”, che Zelensky aveva del resto sottoscritto. Soprattutto, l’Occidente ha fatto dell’appoggio all’Ucraina la “conditio sine qua non” (ribadita dai numerosi ospiti europei recentemente sfilati nella “Città proibita”) per riprendere rapporti economici più convenienti per tutti. Le incertezze che più pesano sull’iniziativa cinese e le sue potenzialità di successo sono in particolare due. La prima: cosa significa in concreto l’affermazione di Xi Jinping (nient’affatto nuova) sull’indipendenza e sul principio dell’“integrità territoriale” delle nazioni; cioè, in che misura sia conciliabile con le conquiste territoriali russe, a cui Putin non intende rinunciare, e d’altra parte con la volontà ucraina di cancellarle, compresa la Crimea, che dopo l’annessione del 2014 Pechino non ha mai riconosciuto come territorio russo. La seconda: in che misura gli Stati Uniti concederanno alla Cina un successo diplomatico (dopo quelli ottenuti in Medio Oriente) di prima grandezza e che la promuoverebbe in modo significativo, diciamo pure spettacolare, sulla scena internazionale.
È soprattutto l’America – che può condizionare le risposte di Zelensky, tributario soprattutto dei rifornimenti in armi e intelligence a Kiev – a detenere una delle chiavi decisive di questo primo approccio cino-ucraino. Meno sordo dovrebbe essere l’atteggiamento del Cremlino, che affida il suo galleggiamento economico all’ “Impero di Mezzo”, al quale il regime putiniano ha consegnato la “golden share” della sua strategia, fors’anche della sua sopravvivenza. In buona sostanza, si tratta di capire se Biden e Xi ritengono di avere finalmente una causa comune.
Vai dunque a scommettere sull’iniziativa di una Cina che Washington continua a ritenere, assai più della Russia, il suo principale “concorrente sistemico” (da Trump a Biden su questo regna la continuità)! Sarebbe diverso se infine la Casa Bianca decidesse di cambiare approccio, come chiedono i partners europei. In sostanza, di “andare a vedere”, come a un tavolo di poker, le carte dell’avversario o nemico, e lasciare poi al protagonismo economico-tecnologico delle due superpotenze (Usa-Cina) l’esito del loro confronto finale e decennale. Ma qui l’impedimento principale ed immediato si chiama Taiwan. Di cui gli Stati Uniti difendono la “scelta democratica” e soprattutto il fatto di rappresentare una base pro-americana avanzatissima nella pericolosa partita per l’Indo-Pacifico. Ufficialmente gli Stati Uniti non riconoscono uno Stato di Formosa, ma la promessa cinese di riservare anche all’isola di 23 milioni di abitanti il principio di “Uno Stato, due sistemi” ricorda troppo la prematura fine di Hong Kong, ormai del tutto sotto il tallone della dittatura cinese.
Troppe incognite, dunque: anche per gli aruspici moderni più scafati. Bastasse una telefonata…
Centro chiuso per minorenni: significato e rischi di una soluzione anacronistica
La mattanza di Kabul è una sfida aperta all’ordine talebano, dice che il conflitto non è finito. Sarà di nuovo guerra civile, e forse dovremo decidere da che parte stare