Un nuovo telefono rosso per gestire la rivalità Usa-Cina?
Una proposta "distensiva" che viene dal Financial Times
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Una proposta "distensiva" che viene dal Financial Times
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Una proposta "distensiva" che viene dal Financial Times
Di Andrea Muratore, InsideOver
Ristabilire tra Washington e Pechino quel “telefono rosso” che dopo la Crisi dei missili di Cuba del 1962 evitò più volte il confronto tra Stati Uniti e Unione Sovietica. È questa la proposta [articolo a pagamento, ndr] di Gideon Rachman, storico caporedattore esteri del Financial Times, dalle colonne della prestigiosa testata della City di Londra.
Rachman è tranchant. Una nuova linea rossa diretta tra Usa e Cina serve a “evitare la guerra” tra Stati Uniti e Cina. E se da un lato la sua istituzione, intesa come la creazione di una fiducia reciproca e di un’attitudine al confronto che oggi manca tra i due giganti, significherebbe la certificazione dell’esistenza di una “Guerra fredda 2.0”, dall’altro aiuterebbe a plasmare la rivalità in senso più costruttivo.
La linea tra il Pentagono e il Cremlino, che permette comunicazioni dirette e cifrate, esiste ancora. Una tra il Palazzo Presidenziale di Pechino e la Casa Bianca aiuterebbe a consolidare un dialogo che spesso oggi diventa un confronto tra sordi. Tra la Cina che spinge per l’assertività regionale e voci dagli Stati Uniti che spingono per un nuovo contenimento, se non addirittura per azioni militari preventive, c’è il rischio che la sfida sfugga di mano.
Per Rachman una serie di conversazioni con funzionari e militari americani ha portato da un lato a constatare uno sdoganamento del discorso su una potenziale guerra con la Cina e dall’altro a vedere in molti funzionari un richiamo alla Guerra fredda non come a una minaccia ma come a un modello: “Molti citano il periodo di distensione degli anni Settanta come esempio di stabilità strategica in cui due superpotenze ostili, entrambe armate fino ai denti, hanno imparato a convivere l’una con l’altra senza andare in guerra”. Usa e Urss erano rivali ma si riconoscevano reciprocamente come due attori legittimi.
Mai negli States del tempo le azioni sovietiche sarebbero state imputate al Partito Comunista dell’Unione Sovietiche (Pcus) come fanno invece molti dirigenti Usa e esponenti del Partito Repubblicano imputando le mosse di Pechino al Partito Comunista Cinese, quasi a considerarlo un usurpatore del potere. E mai si sarebbe letta, dopo la crisi del 1962, la dichiarazione di Qin Gang, Ministro degli Esteri cinese, secondo cui il conflitto con l’Occidente potrebbe essere “inevitabile” se Washington non cambierà atteggiamento.
La guerra del Kippur e il ritiro Usa dal Vietnam (1973), l’invasione della Turchia, membro della Nato, a Cipro (1974) e l’attacco sovietico in Afghanistan (1979) furono solo alcuni degli scenari in cui Washington e Mosca si confrontarono in tempo reale con la “linea rossa”. C’è da immaginare una fitta conversazione anche più di recente, ai tempi degli interventi mediorientali di Mosca, per evitare scontri o incidenti in aree come la Siria.
Washington e Pechino a oggi mancano di camere di compensazione e di fiducia reciproca tra i leader. Nell’epoca della guerra senza limiti non sono rare le accuse reciproche, dall’economia al potenziamento militare, di interferenza nei reciproci sistemi di influenza. Ma sono rarefatte le occasioni di confronto. La cui istituzione potrebbe essere mediata da un filo diretto tra Joe Biden e Xi Jinping e i rispettivi staff, per dialogare in tempo reale sui teatri di crisi e evitare incomprensioni.
Oggi, nota Rachman, “il rischio evidente è che Washington e Pechino siano bloccati in un ciclo di azione e reazione che li avvicina all’orlo del conflitto diretto“. Lo denunciano da tempi molti politologi e analisti americani. Il saggio Destinati alla guerra sulla “Trappola di Tucidide” scritto da Graham Allison e il romanzo 2034 su un ipotetico conflitto Usa-Cina scritto dall’ammiraglio James Stavridis e dall’ex capo-missione della Cia Elliot Ackermann sono due moniti eloquenti provenienti da settori degli apparati a stelle e strisce su un possibile piano inclinato di questo tipo.
L’idea di Rachman è potenzialmente dirompente. Ma va messa a terra. In tal senso, giocano a favore di una possibile distensione anche le parole del Segretario al Tesoro Usa Janet Yellen, ex governatrice della Fed, sulla necessità di evitare un tracollo nella rivalità Usa-Cina.
Ma per Martin Wolff, altra storica firma del Ft, lo status attuale del rapporto sino-americano è “spaventoso“. Wolff teme che la guerra economica prepari il confronto diretto: “Gli sforzi unilaterali da una parte per sentirsi più sicuri sono destinati a rendere l’altra parte più insicura”. Inoltre, “il rifiuto di vendere tecnologie o risorse strategicamente vitali – o anche la possibilità che ciò accada in futuro – farà sentire l’altra parte economicamente insicura”.
Il Ft e le centrali finanziarie occidentali temono il confronto e la rottura Usa-Cina. Vogliono condividere opzioni, anche con i loro canali diretti e mediatici, per lanciare moniti e proposte. Ai decisori la possibilità di accoglierle o meno. Ma la necessità di una distensione tra America e Repubblica Popolare e della definizione di posizioni chiare sui potenziali conflitti, a partire da Taiwan, appare vitale. E vera ricetta contro una guerra potenzialmente disastrosa.
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