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Rocco Bianchi
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Nel periodo elettorale i contributi di candidate e candidati sono benvenuti sulla nostra zattera secondo queste regole

“Il possibile lo stiamo facendo, l’impossibile anche, per i miracoli ci stiamo attrezzando”: così recitava anni fa lo slogan di una pubblicità, che ebbe talmente successo da essere ripresa un po’ da tutti per quasi ogni occasione. Mai però è diventato realtà, che i miracoli dicono essere appannaggio esclusivo di entità che di terreno ha poco o nulla. Eppure ci riesce difficile definire altrimenti quanto successo ieri a Basilea Campagna per l’elezione del Consiglio di Stato.

Per carità, che l’UDC, secondo partito cantonale fino a ieri, da oggi il primo, potesse anche perdere il seggio lasciato vacante, stante la sua intrinseca debolezza nelle elezioni per gli esecutivi, poteva anche essere ipotizzabile; ma che a causare quella che in ogni caso sarebbe stata una sorpresa fosse un partito, quello evangelico, che mai nella sua storia è riuscito ad eleggere un consigliere di Stato in alcun cantone, questo nessuno, neppure il più visionario degli analisti, avrebbe potuto prevederlo.

Un partito, per di più, che stando ai risultati del Gran Consiglio, ha dimostrato di possedere una forza elettorale di poco superiore al 5%, contro il quasi 23% degli sconfitti. Un abisso elettoralmente parlando, che tuttavia è stato colmato. Un miracolo, appunto, e forse non è un caso che l’autore sia l’esponente di un partito che con la religione, dunque l’ultraterreno, ha un rapporto particolare.

Un risultato questo che potrebbe indurre a meditare la sinistra nostrana, da sempre abbarbicata al proporzionale come mezzo per mantenere la sua rappresentanza in Consiglio di Stato e che forse adesso, alla luce anche della recente formazione di una lista d’area rossoverde, potrebbe essere sedotta dall’idea di un cambiamento di sistema, in linea appunto con quanto avviene in tutto il resto della Svizzera.

Al di là, comunque, dell’aneddotica e delle battute, resta come detto oltre la sorpresa la conferma che l’UDC anche in cantoni dove è elettoralmente forte fa fatica ad essere percepita dai cittadini (perché dove vige il sistema maggioritario è tutto l’elettorato che ti elegge, non solo i tuoi sostenitori) come un partito di Governo, e per il primo partito svizzero questo continua ad essere un problema. Un paradosso all’apparenza insolvibile: o diventi un partito di Governo ma quindi fatalmente perdi quella forza propositiva e propulsiva che ti ha permesso di superare tutti gli altri, oppure mantieni il tuo essere sempre e irrimediabilmente contro, ma fai fatica ad entrare in Governo. E la tattica di tenere un piede dentro e uno fuori funziona per un po’, ma non all’infinito, anzi alla lunga logora (PS docet).

Il PS e i Verdi, appunto, che anche in queste prime elezioni del 2023 hanno dimostrato di essere in perdita di velocità. Gli ecologisti in particolare, che hanno lasciato sul campo voti e seggi sia a Basilea Campagna che a Zurigo, l’altro cantone in cui si è votato ieri per il rinnovo dei poteri: -2,6% e 2 seggi nel primo, -1,5% e 3 seggi nel secondo. Tanti, troppi per essere considerata solo una scossa di assestamento dopo la spettacolare avanzata di 4 anni fa.

Anche perché i cugini moderati, i Verdi liberali, quell’avanzata l’hanno continuata quasi allo stesso ritmo: a Liestal hanno fatto segnare uno stratosferico +3,9% e 3 seggi, a Zurigo hanno invece marciato sul posto elettoralmente, ma grazie al gioco dei resti sono riusciti a conquistare un seggio in più. L’onda verde insomma continua, solo che ha cambiato soggetto politico conquistando anche gli elettori moderati, non più solo una frangia degli alternativi di sinistra.

Ciò che forse spiega il ristagno delle due formazioni storiche del centro. Il PLR, forte di sondaggi favorevoli, si aspettava molto da queste elezioni, ma ha raccolto poco o nulla: stabile a Zurigo, dove ha fallito il raddoppio in Governo, non si è mosso in Gran Consiglio; stabile a Basilea Campagna, dove è sì avanzato leggermente nelle elezioni per il parlamento ma non ha guadagnato alcun seggio supplementare. Stesso discorso per il Centro (ex PPD), che è riuscito a mantenere le sue posizioni grazie soprattutto alla fusione con l’ormai disciolto PBD, ché altrimenti sarebbe risultato in calo.

A sinistra se i Verdi piangono, i socialisti non ridono. Hanno mantenuto le posizioni a Zurigo, conquistando anzi un seggio in più in Gran Consiglio, ma hanno mancato nettamente l’assalto al seggio in Consiglio di Stato della centrista Silvia Steiner; hanno mantenuto il seggio in Governo a Liestal, ma hanno perso due seggi in parlamento e si sono fatti superare dall’UDC come primo partito del cantone. Unica nota forse positiva per l’area rossoverde, a Zurigo la cosiddetta “alleanza climatica” (PS, Verdi, Verdi liberali, Evangelici e Lista alternativa) con 91 seggi su 180 è riuscita a mantenere la maggioranza in Gran Consiglio.

In generale queste elezioni hanno confermato i sondaggi per le elezioni federali di autunno: i grandi partiti di Governo ristagnano (pure il PLR, del cui previsto aumento come detto non si è vista traccia), i Verdi calano e i Verdi liberali avanzano. E proprio quest’ultima situazione, se tra qualche mese si confermasse, potrebbe porre non pochi problemi a dicembre, al momento del rinnovo del Consiglio federale; perché i due partiti ecologisti assieme farebbero circa il 20% dell’elettorato, ossia il secondo partito svizzero: chiedersi se ed eventualmente per quanto tempo sarà possibile tenere fuori dalla stanza dei bottoni una parte così consistente dei cittadini non sarà ozioso, così come immaginare ai danni di chi, questo ingresso, semmai, avverrà.

Con una variabile in più: che fino ad ora a provarci erano sempre stati gli ecologisti puri e duri, le cui chance di raccogliere voti al di fuori della loro area di riferimento erano praticamente pari a zero, domani potrebbero farlo anche i cugini liberali, la cui forza di attrazione verso i parlamentari borghesi è di ben altro spessore. E il PLR a questo punto trema.






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