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Di Alberto Prina Cerai, Formiche.net

Tesla sarebbe in trattative con il colosso minerario Glencore PLC – multinazionale con sede a Baar [nel canton Zugo, ndr] sotto il controllo della famiglia Glansenberg, da una capitalizzazione di borsa da più di 60 miliardi di dollari e attiva nel settore dei metalli in diversi paesi – per acquisire tra il 10 e 20% delle quote societarie. Un’acquisizione che farebbe di Elon Musk uno dei principali shareholder.

La mossa, che dà credito alle recenti preoccupazioni di quest’ultimo e di molti altri executive del settore automotive sulle necessità di una partecipazione più attiva nel settore minerario, è da considerarsi un vero e proprio game changer per gli equilibri della nascente filiera delle batterie elettriche. Questo alla luce di una generale riluttanza, da parte di colossi automotive, nell’acquisire quote nel settore minerario: tanto per preoccupazioni reputazionali sul brand, considerando le problematiche ambientali, quanto per questioni di sostenibilità finanziaria dal momento che è diffusa l’opinione che gli alti prezzi delle materie prime da sé incoraggeranno nuovi investimenti privati nel settore minerario.

Non si tratta tuttavia di una novità, considerando che negli ultimi mesi lo squilibrio segnalato dalle agenzie di consulenza sulle forniture di litio, cobalto, nickel e grafite per andare incontro alla crescente domanda di batterie si sta clamorosamente materializzando, con una corsa dei original equipment manufacturers (OEMs) come General Motors, Stellantis, Volkswagen e Mercedes a siglare accordi con gli attori della filiera.

Secondo le indiscrezioni del Financial Times le trattative da Musk e Gary Nagle, numero uno di Glencore, sarebbero già avanzate negli scorsi mesi senza tuttavia un accordo definitivo. La multinazionale mineraria, con sede in Svizzera e tra le principali società di trading di materie prime a livello mondiale, controlla circa un terzo delle forniture di cobalto tramite le sue controllate nella Repubblica Democratica del Congo, Australia e Canada e con la quale Tesla aveva già siglato un accordo per fornire 6.000 tonnellate di cobalto all’anno per le sue gigafactory in Cina e Germania due anni fa.

“I prezzi del litio sono saliti alle stelle! Tesla potrebbe essere costretta a entrare direttamente nel settore dell’estrazione e della raffinazione in scala, a meno che i costi non migliorino”. Era l’8 aprile 2022 e Musk aveva, come al solito, squarciato con un tweet fulminante il mondo del business e dell’automotive, sempre più desideroso di abbracciare l’elettrificazione dei trasporti. In quest’ottica Tesla ha di recente siglato un accordo per la costruzione di un impianto di raffinazione di litio in Texas, con lo stesso Musk che ha esortato gli altri player del settore ad investire in capacità industriali in questo segmento per alleviare prezzi del litio ormai fuori controllo.

Tuttavia, in assenza di esperienza manageriale in un settore che richiede tempi e costi di capitale molto diluiti come quello minerario, l’alternativa è acquisire interessi in un operatore consolidato per andare in contro alle esigenze e necessità di Tesla: produrre 20 milioni di EV all’anno entro il 2030. Un’ambizione, considerando 1 milione di unità vendute nel 2021.

E chi, se non Glencore? La multinazionale non produce litio, a differenza di cobalto, rame e nickel, ma è entrata di recente nel trading del metallo, sempre più importante per sostenere la decarbonizzazione del settore grazie alle batterie agli ioni di litio che combinano diversi modelli a seconda della composizione chimica tra i materiali utilizzati. Inoltre, ha già siglato accordi con produttori di batterie coreani, come SK Innovation e Samsung SDI, oltre ai produttori di auto come BMW e GM.

L’integrazione verticale è una pratica molto diffusa tra gli operatori cinesi del settore, in quanto garante di forniture stabili e contratti a lungo termine. In una call tra Morgan Stanley e gli executive di Tesla, Musk non ha lasciato dubbi a riguardo: “Faremo tutto quello che è necessario […] Se dovremo scavare, allora scaveremo”.

Restano dubbi, tuttavia, sulle conseguenze reputazionali dell’acquisizione sugli investitori: Glencore continua ad operare nel settore del carbone (nonostante gli annunci di abbattere le emissioni del 50% entro il 2035), da poco proprietaria della miniera di Cerrejon in Colombia, oltre alle forniture di cobalto poco trasparenti in Congo.

Quello che è certo è che il divario esistente tra le ambizioni, come testimonia la recente conferma del phase-out dei motori a combustione a partire dal 2035 in Europa, e la realtà di un’offerta di materie prime che stenta a decollare dovrà prima o poi essere colmato. Per questioni di sicurezza e minor dipendenza da paesi terzi, con un ritorno all’attività mineraria sul continente sia in fase esplorativa sia in nuovi investimenti. Infine, per la stessa sopravvivenza delle case automobilistiche nella competizione per le batterie elettriche: l’accesso ai materiali e gli accordi con i produttori, per tenere sotto controllo i prezzi, potrebbe diventare una questione strategica.






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