Tommaso Soldini – Sogni e sognatori in Via Orelli
Un più discreto amore per la vita - A cento anni dalla nascita, parole e versi di Giorgio Orelli nel ricordo di scrittori e amici
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Un più discreto amore per la vita - A cento anni dalla nascita, parole e versi di Giorgio Orelli nel ricordo di scrittori e amici
Non si può dire che io abbia assiduamente frequentato Giorgio Orelli, le nostre strade si sono incrociate piuttosto tardi, credo intorno al 2004, quando il caso ha stabilito che io iniziassi a insegnare in quella che, in un qualche modo, era stata la Sua scuola, la Scuola Cantonale di Commercio di Bellinzona. Giorgio Orelli, prima ancora che un insegnante e un poeta, per me fresco frequentatore della piazza Indipendenza, era un uomo sulla bicicletta, una persona con cui era bello fermarsi a fare due chiacchiere. Quasi sempre. Perché presto, quando riconobbe in me quello che aveva scritto delle poesie e dei racconti, ma soprattutto quando gli capitò di apprezzare delle mie cose, il tono della conversazione si faceva più serio, lo sguardo diventava penetrante, come a setacciare i vuoti culturali su cui mi sembrava di aver edificato una fragile capannuccia letteraria. È così che me lo rivedo, Giorgio Orelli, un uomo capace di farmi sentire di colpo uno scrittore, senza preavviso, in tre minuti sulla piazza, tra una borsa della Coop e una birra alla spina, ma anche un maestro alto e severo, che non tollera sprechi di talento. La scrittura è una cosa seria, deve avermi detto una volta, viene fuori dallo studio, dagli accertamenti. E mi risuona ancora e spesso questo suo modo di prendere le parole, di metterle in fila così, che sembrano venire fuori da sole.
L’ultima volta, a proposito di cerchi famigliari, che mi è capitato di parlare a lungo di lui, è stato all’inaugurazione della via Giorgio Orelli, a Bellinzona, proprio vicino alla scuola di commercio. Oltre alle autorità c’erano alcuni dei suoi amici, e allora siamo andati a prendere alla Denner alcune bibite e le abbiamo sorseggiate sotto il palo con il suo nome. Siamo stati lì un po’ a commentare questo onore che non capita a tutti e che, in verità, ci metteva i brividi. La via è corta, una strettoia, quasi, strappata a uno stradone di raccordo. È una via strana, un senso unico senza uscita. Tutti quelli che ci entrano, quasi miracolosamente devono infrangere la legge per uscirne. Un po’ come la poesia, forse, un vicolo cieco che continuiamo a frequentare, uno strappo alle regole, un’infrazione. C’è un solo numero civico in questa strada frequentatissima dai miei studenti, che ha a sinistra un grande prato verde e, appunto, sulla destra, la sola casa, credo via Giorgio Orelli 1. Sono sicuro che gli sarebbe piaciuto sapere che, oltre ai ragazzi, sono gli alcolisti anonimi che abitano la sua strada. Una strada di devianti e sognatori.
Il mio ideale era una serva, diceva, “grazie, grazie,
torni domani a quest’ora”, nel buio stanzino
odoroso dei suoi capelli rossi
mentre i vecchi padroni senza figli
dormivano violetti, foderati d’abete.
Non mi dava del tu, ma nel presente
indicativo del suo dialetto
le doppie sibilanti sibilavano
come nel Canto Quinto dell’Inferno.
Con me celata dietro ad un macigno del bosco
dove giungeva con acqua di neve un torrente:
“Uh”, diceva, “son quasi le undici, devo tornare
da quella”, che era la nonna
degli innocenti distratti con loro giocattoli
a due passi da noi. Io le dicevo: “Se c’è un’antipatica al mondo…”
e “ma si sa, quando monta allo scagno…”,
poi la pregavo: “Resta ancora un po’ ”.
Lei con le grosse dita scioglieva il braccialetto
dell’orologio e senza tante storie
rubava almeno mezz’ora. Cominciava
la beata contesa della mano
con le lancette, la mano scendendo
s’apriva, si perdeva
nel primo vero vuoto, s’afferrava.
Come quell’acqua ero giovane, eppure la serva
non voleva darmi del tu. Non sapevo darmi pace
(lei è qui, lei è là, lei è troppo), finché un giorno
– era sola, stirava – …
Foto Giorgio Orelli © RSI
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