Laura Di Corcia – Salendo a Ravecchia: incontro con Giorgio Orelli
Un più discreto amore per la vita - A cento anni dalla nascita, parole e versi di Giorgio Orelli nel ricordo di scrittori e amici
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Un più discreto amore per la vita - A cento anni dalla nascita, parole e versi di Giorgio Orelli nel ricordo di scrittori e amici
Ho un ricordo molto netto dell’unica occasione in cui ho avuto modo di incontrare Giorgio Orelli. Avevo ricevuto l’incarico di intervistarlo per un quotidiano cartaceo in occasione dei suoi 90 anni. Ero più giovane, più inesperta di adesso, e quando Orelli stesso mi è venuto ad aprire la porta ricordo di aver avvertito un senso di straniamento: dal vivo, sembrava molto più giovane di come me lo sarei aspettato. Per una frazione di secondo – lo confesso – ho pensato di aver sbagliato indirizzo. Sono passati dieci anni esatti da quell’unica visita, ma ho un ricordo vivido della bella accoglienza ricevuta in casa Orelli: prontamente Giorgio e sua moglie mi hanno messa a mio agio, seduta sul divano della loro sala, fra le mani una tazza di caffè, tante domande per capire chi fosse la giovane donna che si era presentata quel giorno. Ho subito intuito di essere di fronte non solo a un grande poeta, ma ad una grande persona. Orelli infatti aveva questa qualità, che si evince anche leggendo i suoi testi: essere interessato sinceramente alla vita delle persone. Una curiosità fondamentale, indispensabile per chiunque voglia scrivere. L’immagine di lui che gira in bicicletta per le strade di Bellinzona, che ha voglia di parlare con i passanti, di conoscere le loro storie, è quanto di più vivido resista nella memoria di chi lo ha conosciuto. Rammento di avergli fatto una sola domanda, per rompere il ghiaccio e per partire dagli esordi, dai suoi studi in Lettere: “Che ricordo ha di Gianfranco Contini?”. Il grande critico che aveva insegnato a Friborgo e che avevo conosciuto anche io, anche se per vie libresche (e con grande fatica). Prima di presentarmi a casa sua, mi ero ovviamente preparata una pagina di appunti, ma non c’è stato bisogno di seguire nessuna traccia, a dire il vero. Giorgio Orelli dopo quel primo stimolo ha parlato per due ore di seguito, dandomi un saggio della sua profonda erudizione e cultura. Uno dei concetti su cui insisteva molto è il valore fonico della lingua: sorpassando De Saussure, che postulava un rapporto arbitrario fra la cosa e il suono con cui indichiamo la cosa, Orelli mi è parso più vicino alla linea lacaniana, secondo cui “il significante è un sasso in bocca al significato”. Come ogni buon poeta, Giorgio Orelli intuiva che la materia plastica di cui è costituito il linguaggio, il suono delle parole, avesse un valore alto, simbolico, andasse a radicarsi nel nostro inconscio che è fatto, per citare di nuovo Lacan, di parole, quindi di suoni uditi sin dalla primissima infanzia, quando, alle soglie del linguaggio, non capivamo la relazione fra le cose ma eravamo immersi in un mondo sonoro. Quella giornata per me, in effetti, è stata un’immersione in un mondo sonoro.
Ricordare Giorgio Orelli oggi significa fare un bilancio del dopo, e quindi segnalare quanto sia stata importante la sua presenza per l’attività letteraria nella Svizzera italiana. Schiacciato fra un Paese come l’Italia, con una tradizione storico letteraria sontuosa, e la Svizzera tedesca, per certi versi più audace, maggiormente a contatto con quanto avveniva in Europa, il nostro territorio ha corso il rischio di un ripiegamento su se stesso, di una marginalità non feconda, ma asfissiante. Con Giorgio Orelli, che fu battezzato non a caso da Contini “toscano di Svizzera”, il messaggio è stato chiaro: il Ticino, terra di confine e quindi teatro di spostamenti di persone, zona di scontri accesi, ma anche di incontri, ha una sua specificità che può essere tradotta in una letteratura in grado di superare i confini territoriali. Orelli è un poeta ticinese e italiano, presente e citato nelle antologie italiane che si occupano di poesia del secondo Novecento. In un certo senso è stato un apripista, dando un messaggio di fiducia alle generazioni future. Se oggi anche il nostro territorio assume un posto di rilievo nel vasto panorama delle scritture italofone, dove ad ogni modo le realtà regionali stanno assumendo via via maggiore voce in capitolo nella costruzione di un percorso comune sganciato dall’asservimento a quanto avviene nelle maggiori città, lo dobbiamo prima di tutto a lui. Credo quindi che, al di là di maggiori o minori vicinanze alla sua scrittura, la nostra generazione, soprattutto quella dei poeti e delle poete, abbia un grande debito culturale e umano nei confronti di Giorgio Orelli. Ricordarlo oggi ha anche questo significato: ed è molto, moltissimo.
“La vera comicità consiste in questo, che
l’infinito può trovarsi in un uomo senza
che nessuno, proprio nessuno, lo possa scoprire in lui.”
Sören Kierkegaard, Postilla conclusiva non scientifica
Chi è questo che viene, che solo di vista conosco,
con senza spolverino di tinta neutra
e strani segni in faccia
e adesso che spingo a mano la bici in breve odore
di glicine mi segue da vicino e fa come volesse parlarmi
e prima di giungere in cima all’onesta salita,
sotto il cavalcavia dove nonni e bambini
si fermano a fare cucù: “Scusi”, mi dice toccandosi
svelto il cappello di falda severa,
“la borsa cade”.
“Grazie, è la solita storia, lasciamola
andare dove vuole”, sorrido, “tanto, cadendo si avvita
al portapacchi, vede?, e lì certo starebbe
fino al Giudizio Universale; grazie,
comunque”.
(Sembra chiaro chiarissimo perché
tra gole stupite di merli
un ragazzo l’abbia fatta di corsa
questa mite salita, ma dove la strada pianeggia
cammini senza fretta;
sembra chiaro chiarissimo perché
d’un tratto una bambina sia andata fuori casa
con un cuscino del letto sul capo sebbene non piova)
E lui, quasi fraterno, quasi mosso
da comprensione ironica di sé:
“Lei non conosce me, io svizzero tedesco, di Zurigo,
io non tanti anni in Ticino, noi già
visti più d’una volta a Bellinzona
ma non parlato mai insieme, io testimone
di Geova, sa lei
che la fine del mondo è vicina e tutti i capri
saranno separati dai pecori, lei sa?”
“Lo so, ne ho sentito parlare sul treno del sabato
da una sua consorella” rispondo, e intanto
neri gallini cresciuti con fretta
per il gran compimento, becchi alzati
in nome della Legge, di profilo
ci guardano da un orto, “lo so perché anch’io sono oriundo
dell’aldilà”.
Foto Giorgio Orelli © RSI
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