Berset, un mea culpa che non è tale
Afferma che avrebbe dovuto mettere più spesso in discussione la scienza, ma i danni peggiori li ha fatti quando l’ha ignorata
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Afferma che avrebbe dovuto mettere più spesso in discussione la scienza, ma i danni peggiori li ha fatti quando l’ha ignorata
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Afferma che avrebbe dovuto mettere più spesso in discussione la scienza, ma i danni peggiori li ha fatti quando l’ha ignorata
In inglese lo definirebbero gaslighting: ovvero “l’atto di ingannare o controllare qualcuno facendogli credere cose non vere”, come si legge nel Cambridge Dictionary. Parlo dell’intervista che Alain Berset ha rilasciato giovedì sera alla trasmissione Gredig direkt della SRF, la televisione svizzero-tedesca.
Tutti ne avranno sentito parlare, visto che le sue dichiarazioni sono state ampiamente riprese dai media: “interrogato sugli errori personali nella lotta contro il Covid-19 il ministro della sanità Alain Berset ha ammesso di non aver messo sufficientemente in questione i consigli della scienza all’inizio della pandemia di coronavirus”, riassume SwissInfo basandosi su dispacci di agenzia.
Berset è furbo. Da una parte strizza l’occhio alle destre che parlano di dittatura della scienza e della Task force, dall’altra limita il mea culpa ai primi mesi della pandemia e lo incentra su un clamoroso errore non tanto della scienza, quanto delle agenzie sanitarie a cominciare dall’Organizzazione mondiale della salute e, per quanto ci concerne, dell’Ufficio federale della sanità pubblica, allora rappresentato dall’ineffabile Daniel Koch che giurava e spergiurava che le mascherine erano non solo inutili ma addirittura dannose.
Allora, è vero, la scienza era divisa, in assenza di prove inconfutabili anche per il cosiddetto paradosso del paracadute, al quale nel 2003 il British Journal of Medicine aveva dedicato un articolo ironico e divertente: esporre a rischi gravi, com’è quello di ammalarsi di Covid, non è eticamente accettabile e questo esclude che si possano effettuare studi clinici randomizzati e quindi avere prove scientifiche inoppugnabili. Resta però il fatto che i ricercatori favorevoli alle mascherine erano numerosi e l’esperienza di molti Paesi, in particolare nell’Estremo Oriente, deponeva a loro favore. Non solo: come ha replicato ieri su Twitter l’epidemiologo Christian Althaus, la Task force scientifica già il 20 aprile 2020, a tre settimane soltanto dalla sua istituzione, aveva pubblicato un policy brief chiaramente favorevole alle mascherine. Addirittura, sottolinea Althaus, nel verbale di una riunione dello Stato maggiore di crisi si legge che “in seguito a pressioni esterne qualsiasi decisione sarà presa a livello politico e non in base a considerazioni epidemiologiche”.
Insomma, più che rimettere in discussione la scienza, sulle mascherine Berset avrebbe dovuto rimettere in discussione Daniel Koch e… se stesso. Ma c’è di peggio, perché dall’autunno in poi, la scienza, più che metterla in discussione, Alain Berset l’ha ignorata più e più volte, quando non ha cercato di scaricarle colpe che erano sue. Su Naufraghi/e già avevo scritto delle rivelazioni del Tages Anzeiger secondo il quale nell’agosto 2020 Berset aveva messo in un cassetto un documento dell’Ufficio federale della sanità pubblica che raccomandava di introdurre al più presto misure per combattere la crescita esponenziale dei contagi (qui una versione PDF a libero accesso dell’ampio servizio del Tagi). Ma ancor prima, la Neue Zürcher Zeitung aveva documentato i malumori degli ambienti scientifici dopo che, a fine ottobre, Berset aveva dichiarato che in autunno le misure erano state prese tardi perché dalla Task force non erano giunti segnali d’allarme. Un’affermazione alla quale, sempre su Twitter, Christian Althaus aveva già ribattuto in dicembre, citando un rapporto del 9 ottobre 2020 della Task force sulla situazione epidemiologica e un suo colloquio con il consigliere federale del 13 ottobre 2020, in cui aveva sottolineato che non c’era tempo da perdere.
Alain Berset, insomma, mente sapendo di mentire. E continua a farsi un baffo della scienza, come dimostra l’adozione del modello a tre fasi, di cui ho scritto sabato scorso.
Che nessun giornalista, prima che Christian Althaus intervenisse, lo abbia sottolineato spiega perché da qualche giorno, dopo l’hashtag #SwissCovidFail, su Twitter ne sia apparso un altro: #SwissMediaFail.
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