Pietro De Marchi – Ricordo di un viaggio e di una lettura
Un più discreto amore per la vita - A cento anni dalla nascita, parole e versi di Giorgio Orelli nel ricordo di scrittori e amici
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Un più discreto amore per la vita - A cento anni dalla nascita, parole e versi di Giorgio Orelli nel ricordo di scrittori e amici
• – Redazione
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Un più discreto amore per la vita - A cento anni dalla nascita, parole e versi di Giorgio Orelli nel ricordo di scrittori e amici
Pietro De Marchi
Non mi stanco di raccontarla perché quella volta provai qualcosa di molto simile a una rivelazione. Era il febbraio del 1999 e accompagnavo Giorgio Orelli da Bellinzona a Feltre, dove lo avevano invitato a partecipare a un ciclo di incontri di poesia organizzato dalla Associazione Silvio Guarnieri. A dire il vero il viaggio non era incominciato sotto i migliori auspici, perché Orelli aveva forse cambiato giacca all’ultimo momento e insomma aveva dimenticato di prendere con sé il passaporto o la carta d’identità. Sennonché, arrivati a Lugano, quel documento gli venne provvidenzialmente consegnato da sua figlia Lucia, che si era precipitata in automobile all’inseguimento del treno ed era comparsa come per magia al binario giusto, accanto alla nostra carrozza. Ma Orelli fu poi molto contento di visitare Feltre, perché una sua zia era originaria di quelle parti e c’erano lontani parenti che forse avrebbe potuto incontrare, come difatti accadde.
Quel pomeriggio nell’aula magna dell’Istituto Colotti il pubblico era numeroso e la lettura di Orelli fu anche più entusiasmante del solito: in una delle sue proverbiali digressioni trovò il modo di interpretare con la necessaria calma le nature morte di Morandi e il senso metafisico di quelle bottiglie schierate l’una accanto all’altra come una muraglia difensiva contro la minaccia del vuoto, del nulla. Ormai si era fatto tardi e Orelli aveva esaurito la lettura dei testi che aveva scelto per quell’occasione, ma ecco che uno degli organizzatori, un libraio-filosofo “di razza contadina”, come avrebbe detto Giorgio, gli chiese la cortesia di leggere per lui ancora una poesia, e gli mise davanti il suo libro già aperto alla pagina con il Brindisi del primo fieno. Orelli prese a leggere di buon grado quel testo che parla di un mondo ormai lontano, di quando i falciatori bergamaschi giravano per le valli del Ticino in cerca di lavoro; ma giunto all’ultimo verso, «Domani piove, io son vecchio e lo sento», il poeta si commosse e per un attimo gli si incrinò la voce. Ma ancora più commosso era il pubblico, che applaudì con calore: le parole finali della poesia, scritte tanto tempo prima, coincidevano esattamente con il sentimento attuale di chi le aveva lette e anche con quello di molti dei presenti. Vidi allora un signore erudito e discreto, che aveva seguito la lettura di Orelli rimanendo seduto nell’ultima fila, avvicinarglisi e domandargli: «Senta, Orelli, perché non rimane qui una settimana? Io la verrei ad ascoltare tutti i pomeriggi». Non mi è mai capitato di sentire una altrettanto disarmata dichiarazione di affetto per un poeta e la sua poesia.
Bevo alla vostra salute,
bergamaschi che avete fatto il mio fieno
lavorando ancora mentre incupiva
il sambuco e la luna
prendeva invano consistenza,
fino alla piena notte,
senza occhi per quelle care, sbadate
lucciole che s’impigliavano
nei vostri petti sudati,
come eravate senza orecchi
per il concavo grido del cùculo
dalla lenta collina.
Salve a te, Giuseppe d’Albensa
che sei certo il più taciturno e mite,
gonfio d’una timidezza
di cui nessuno qui si scandalizza,
e senza smorfie nella fatica;
a te, Bernardo da Lovere,
ventenne a cui se ne danno quaranta,
dalla faccia di Cristo
paziente a furia d’impazienza;
e a te, Stefano da Marone
che hai qualcosa, più che grigio, losco
negli occhi, saettavi
nella fondina l’argento di due denti
parlando della fidanzata che ha palanche,
dell’ultimo temporale,
del tuo spendere tutto nel bere,
e non andresti mai a dormire,
vorresti sempre far festa.
Vi ringrazio che avete a tutti i costi
voluto finire quest’oggi.
Domani piove, io son vecchio e lo sento.
Foto Giorgio Orelli © RSI
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