“Responsabilità sociale” delle imprese. Davvero?
Le chiacchiere senza sostanza delle grandi banche, ma anche delle grandi imprese pubbliche
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Le chiacchiere senza sostanza delle grandi banche, ma anche delle grandi imprese pubbliche
C’è ancora qualcuno che crede alla “responsabilità sociale” delle imprese? C’è evidentemente chi ne parla, anche troppo; soprattutto coloro (tra cui i chierichetti del capitalismo liberista, Regazzi in testa) che usano questa espressione – che suona molto bene, soprattutto se pronunciata con adeguata convinzione, fronte aggrottata e sguardo severo – per scongiurare il rischio che vengano invece promulgate norme legali che obblighino a fare, e non unicamente a dire che (forse) si farà. Insomma, siamo sempre al “non disturbate il manovratore” e alla “mano invisibile” di Adamo buonanima, conditi con un pizzico di “moral suasion”. Una manfrina che ci viene ripetuta da decenni come un mantra, nonostante l’assenza di risultati, e il clamoroso deficit a livello di buona fede di chi ci ammannisce questa ormai indigesta pietanza.
L’espressione mi è venuta in mente leggendo due notizie:
(1) oltre ai 125 già annunciati, UBS taglierà altri 700 impieghi in Svizzera sull’arco dei prossimi tre anni, nell’ambito di un programma generale di risparmi che punta a diminuire i costi di circa un miliardo di dollari l’anno;
(2) Credit Suisse assumerà quest’anno oltre 1000 informatici in India, dopo averne già ingaggiati 2000 negli ultimi tre anni: nel suo comunicato, la banca «sottolinea il suo continuo impegno nella presenza nel Paese e la sua visione di fare dell’India [non: della Svizzera] il centro per l’innovazione tecnologica dell’istituto a livello globale».
Queste notizie danno la misura dei principi che presiedono alla gestione di queste aziende, che generano utili miliardari (anche a dispetto di qualche loro costosissimo errore) e che non hanno certo bisogno di fare risparmi sulla nostra pelle, lasciandoci a casa o assumendo gente a migliaia di chilometri di distanza, e a condizioni economiche che vi lasciamo immaginare (invece di, banalmente, assumere in Svizzera).
Le due banche non ritengono evidentemente di aver alcun impegno, neppure morale, nei riguardi della società svizzera e dei suoi giovani, oltre che nessuna fiducia nel sistema formativo elvetico. Insomma, “responsabilità sociale” declinata nella sua versione più adamantina, cioè chiacchiera senza sostanza. Aspettiamoci altro, a Zurigo i cervelli sono in perenne effervescenza: ad esempio, una generalizzazione del telelavoro con la conseguente chiusura di spazi lavorativi fisici, con gli effetti sul tessuto economico e sociale che è facile prevedere.
Ma sono in buona compagnia: basti pensare a quanto stanno facendo le imprese di servizio pubblico (posta e ferrovie in testa), con l’aggravante di essere di proprietà di noi cittadini-contribuenti, o alle strategie delle grandi cooperative della distribuzione.
Lasciamo quindi da parte gli appelli penosi alla “responsabilità sociale”, che sono diventati una vera offesa all’intelligenza media, e prendiamo atto che – in mancanza di una qualsiasi volontà politica di rovesciare la tendenza – il mainstream è quello del ritorno al capitalismo a muso duro, liberista e un po’ ottocentesco, ma ben camuffato nel vento della modernissima digitalizzazione.
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