Un anno vissuto pericolosamente
Il 17 marzo 2020 iniziava il primo lockdown: da allora dovremmo aver imparato qualcosa
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Il 17 marzo 2020 iniziava il primo lockdown: da allora dovremmo aver imparato qualcosa
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Il 17 marzo 2020 iniziava il primo lockdown: da allora dovremmo aver imparato qualcosa
Lo faceva in barba ai messaggi tranquillizzanti di Daniel Koch, il cosiddetto Mr. Coronavirus, secondo il quale la CoViD19 non era più pericolosa della normale influenza, e dando finalmente ascolto agli appelli sempre più disperati del Canton Ticino, che era stato travolto dall’ondata di contagi proveniente da Sud e si confrontava con reparti di cure intensive sempre più vicini al collasso.
Nessuno, in quei giorni, avrebbe potuto immaginare che un anno dopo saremmo stati ancora alle prese con la pandemia e in condizioni anche peggiori di quelle che avevano convinto il governo a intervenire con una misura tanto drastica.
Non ci credete? Be’ date un’occhiata al grafico del primo “Rapporto sulla situazione epidemiologica in Svizzera e nel Principato del Liechtenstein” che l’Ufficio federale della sanità pubblica ha pubblicato il 17 marzo 2020 (tutti i rapporti, suddivisi per trimestre, li trovate qui).
Fino a quel giorno, indicava il rapporto, “il numero di casi positivi testati è stimato a circa 2650”. Dati giornalieri precisi non ne venivano forniti, ma dal grafico si desume che il 15 (una domenica) si era avuto un picco di circa 500 casi, ridiscesi sotto quota 400 il giorno successivo. Il virus – sottolineava l’UFSP – aveva ormai colpito tutti i cantoni, Liechtenstein compreso, e aveva causato 19 decessi.
Tragica ironia, esattamente lo stesso numero di morti che si sono registrati lunedì, secondo l’ultimo aggiornamento, pubblicato ieri, che fa stato di 1438 nuovi casi nelle ultime 24 ore.
Sono cifre che dovremmo tenere presenti, dinanzi all’offensiva dei paladini delle aperture. Così come non dovremmo dimenticare che, anche se ormai nessuno più ne parla, agli inizi di gennaio l’obiettivo del Consiglio federale era di scendere sotto i 300 casi al giorno.
È vero, oggi il calendario delle aperture dovrebbe essere dettato da parametri assai meno stringenti (e assai più opinabili). Ma nemmeno questi sono rispettati, fatta eccezione per l’occupazione dei letti nelle terapie intensive: per quanto ancora non si sa, però, visto che anche il numero delle ospedalizzazioni è in aumento, al pari dell’indice di riproduzione (risalito all’1.14, quando dovrebbe essere inferiore all’1) e dell’incidenza della malattia (il numero di casi per 100 mila abitanti sui quattordici giorni precedenti, che dovrebbe essere inferiore a quello del 1. marzo).
Non bastasse, lunedì nemmeno il quarto parametro era nei limiti: proprio nel giorno in cui ha preso avvio il programma di test a tappeto voluto per interrompere al più presto le catene dei contagi , il tasso di positività ha raggiunto il 5.8 per cento. Un livello che non toccava dallo scorso 2 febbraio.
A un anno dal primo lockdown, con più di 9400 morti alle spalle, è davvero tanto difficile dimostrare di avere imparato qualcosa?
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