Rovesciare la scacchiera

Rovesciare la scacchiera

Non è una serie TV. Il Grande Gioco ci fa marciare in fila nel cortile della prigione


Lelio Demichelis
Lelio Demichelis
Rovesciare la scacchiera

Fallimento della Cop 26 di Glasgow, con i Grandi della terra che si fanno Piccoli piccoli davanti alle pretese del capitale e dell’industria; oligarchie economiche e tecnologiche sempre più potenti e autocratiche (un tempo si chiamavano, in senso negativo/spregiativo multinazionali; oggi si chiamano, ma in senso positivo e fideistico Big-tech, vengono osannate come visionarie e la Silicon Valley è diventata nuova terra di pellegrinaggio dei devoti alla religione tecno-capitalista); processi di digitalizzazione che sempre più chiaramente si manifestano non come il nuovo che avanza bensì come il vecchio taylorismo che ritorna, però digitalizzato e così tutto sembra nuovo, quando non lo è (e quindi non siamo nella quarta rivoluzione industriale, ma sempre nella prima, anche se il digitale ha sostituito la macchina a vapore e il telaio meccanico); Ralph Hamers, Ceo di Ubs che candidamente ha affermato: “il nostro core business, che ci piaccia o no, è supportare i ricchi che diventano sempre più ricchi”, salvo poi ammettere, quasi a malincuore, che “più abbiamo successo, più effettivamente contribuiamo alla disuguaglianza nel mondo. Il che non è un bene”; e poi TiSin, il più classico dei sindacati gialli per aggirare un sacrosanto principio di giustizia distributiva e retributiva.

E l’elenco potrebbe continuare, perché la cronaca giornaliera è piena di fatti che dimostrano (che dovrebbero dimostrare) l’irrazionalità di questo sistema; che tutti però amiamo, a cui tutti ci adattiamo qualunque cosa decida per noi – e che si chiama capitalismo, ma che molti disastri sta producendo nella quasi indifferenza di troppi. Su tutti, il disastro climatico, che invece ci imporrebbe, se non di uscire da questo sistema, almeno di riformarlo radicalmente in nome della giustizia sociale, della giustizia ambientale e del futuro dei nostri figli (nei cui confronti ci comportiamo tutti – perché questo è – come madri e padri irresponsabili o come giocatori al casinò).

E allora – per cercare conforto – abbiamo ripreso in mano un bellissimo articolo dello scrittore Claudio Magris, uscito qualche mese fa. Partiamo però da una premessa: le regole sono parte costitutiva di ogni società e della vita di ogni uomo. E ciascuno deve darsi e deve rispettare delle regole per vivere con gli altri e con se stesso (altrimenti ci comportiamo come i no-vax e i no-green pass che rivendicano una egoistica libertà per sé, incapaci di capire che la libertà e la convivenza impongono anche dei doveri e una responsabilità verso gli altri). Il problema è quanta libertà, quanta autonomia e soprattutto quanta consapevolezza degli uomini vi è nella costruzione condivisa di queste regole. Perché non basta votare ogni tanto, e ogni tanto mettere un o un no a un referendum. Perché il potere (il Potere, usando Pier Paolo Pasolini) è altrove da dove pensiamo che sia (Parlamenti, governi, eccetera): sono nella Silicon Valley, nella finanza, nei mercati, nell’ideologia neoliberale – ed è questa consapevolezza (capire dov’è il Potere, come funziona e come ci fa funzionare) che oggi drammaticamente ci manca. E le regole del gioco – i neoliberali le chiamano catallassi – del capitalismo le abbiamo così introiettate, che ci sembrano normali e naturali, anche se non lo sono (e si dovrebbe rileggere La grande trasformazione, di Karl Polanyi; qualche testo di Teoria critica francofortese, come Eclisse della ragione, di Max Horkheimer – che tra l’altro visse in Ticino per molti anni; o Psicanalisi della società contemporanea di altro grande intellettuale, anch’egli ticinese di adozione, come Erich Fromm); non lo sono perché le regole del gioco del capitalismo sono in realtà frutto di interessi economici e di processi culturali e storici e quindi non sono naturali né immutabili – e dovremmo quindi urgentemente pensare a delle alternative.

Ha scritto dunque Claudio Magris: «La regola del gioco, anche tacita ma imperiosa, diviene facilmente una maschera di ferro, una camicia di forza. […] La partita a scacchi è diventata uno dei grandi temi di tanta letteratura, nelle epoche più diverse. Oggi la scacchiera su cui si svolge il grande gioco è il Mercato, vitale, inesorabile, spietato, quasi volto attuale del destino; Mercato la cui energia si adorna di tutte le seduzioni possibili, sembra farsi sempre più forte e anche quando stritola fa credere che stia abbracciando. Una minaccia alla libertà concreta di ogni giorno non è costituita, almeno nei Paesi occidentali, da dittature che controllano e reprimono ogni gesto e ogni individuo, come nei romanzi di George Orwell o di Aldous Huxley, ma da una valanga di offerte e prescrizioni di ogni genere, sigle da decifrare, moduli da riempire, sollecitazioni da seguire. Un corteo danzante come quello degli spiriti elementari in certi quadri medievali, un Sabba in cui ogni fuoco fatuo è rassicurante perché ha il suo marchio registrato. […] Stiamo vivendo nel mondo in cui tutto è permesso, annunciato da Dostoevskij. Forse l’unico modo di sottrarsi, nella modestissima misura in cui ciò è possibile, al Grande Gioco che ci fa marciare in fila nel cortile della prigione, è la mossa di quella favorita di un imperatore cinese, di cui si racconta e che, costretta a giocare a scacchi con il suo sovrano e signore, accorgendosi che stava perdendo, fa uno schiocco con le labbra come faceva quando chiamava il gatto per dargli da mangiare e l’animale, con un balzo leggero, piomba sulla scacchiera sconvolgendo l’ordine di tutti i pezzi, mandando all’aria il gioco e forse permettendo così di dedicarsi ad altro, senza regole vincolanti da seguire» (Il gioco che non fa giocare, in Corriere della sera del 16/05/2021).

Il sovrano/signore è oggi il tecno-capitalismo (il sistema integrato di tecnologia e capitalismo) che ci impone di giocare al suo gioco e con le sue regole. La favorita dovremmo essere noi, diventati finalmente consapevoli che il sovrano/signore gioca solo per sé e contro di noi e soprattutto contro la Terra.

Ci manca ancora il gatto… ma soprattutto, l’idea di far schioccare le labbra.

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