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Abbiamo dimenticato la giustizia sociale

Il rapporto Oxfam segnala che nei primi due anni dell’epidemia gli uomini più ricchi del mondo hanno più che raddoppiato i loro patrimoni, passati da 700 a 1600 miliardi di dollari


Lelio Demichelis
Lelio Demichelis
Abbiamo dimenticato la giustizia sociale
• 3 Febbraio 2022 – Lelio Demichelis

Ricchi sempre più ricchi, poveri sempre più poveri, governi sempre più inchinati davanti al Dio Capitale (banche, finanza, imprese, tecnologia) e che sempre raccontano la favola neoliberale – ormai vecchia e sempre fallimentare, ma sempre ripetuta come una pubblicità che deve entrarci a forza nella testa e farci credere in una illusione – quella per cui, arricchendo i ricchi, poi la ricchezza e il benessere goccioleranno per forza di gravità verso il basso, cioè naturalmente – o per magia della mano invisibile – senza necessità di un intervento dello Stato per redistribuire la ricchezza e riparare le ingiustizie del libero (sic!) mercato. Stato che infatti non la redistribuisce più – la ricchezza, crescente, ma di pochi – secondo equità, come aveva invece cercato di fare in Europa grazie a politiche keynesiane nei gloriosi trent’anni seguiti al 1945; diversamente da allora e con il paradossale consenso dei disuguagliati, lo Stato (neoliberale) persegue e pianifica la disuguaglianza. Una scelta politica prima che economica – secondo l’economista Joseph Stiglitz – di quello che si chiama neoliberalismo, una delle ideologie più ideologiche (scusate il gioco di parole) della storia. Ideologia che non vediamo/percepiamo perché promette, pur negandola di fatto (insieme alle nuove tecnologie), libertà e autonomia – e questo ci spiazza, cancellando ogni nostra capacità di reazione. Neppure reagiamo quando alcuni di questi super-ricchi – è notizia recentissima (al Forum di Davos) – chiedono di essere tassati di più.

Di Svizzera, di ricchi e di politiche neoliberali ha già scritto Federico Franchini – su queste ‘pagine’ – lo scorso 28 gennaio. Ma il tema deve essere ripreso, richiamando la pubblicazione dell’ultimo Rapporto Oxfam sulla disuguaglianza nel mondo. Se ne è parlato, poco in realtà, al momento della sua pubblicazione; poi è stato lasciato alla azione potente della smemoratezza collettiva – che poi è quello che da sempre ricerca il potere, per evitare ogni possibile pensiero critico.

Scrive dunque il Rapporto Oxfam – La pandemia della disuguaglianza – che nei primi due anni di Covid-19, i dieci uomini più ricchi del mondo hanno più che raddoppiato i loro patrimoni, passati da 700 a 1.600 miliardi di dollari. Questo significa un ritmo di crescita di 15mila dollari al secondo, ovvero 1,3 miliardi di dollari al giorno. Negli stessi due anni di pandemia, oltre 160 milioni di persone (in più di quelle già povere) sono cadute in povertà. E solo per Jeff Bezos, numero uno di Amazon, una delle aziende il cui fatturato è lievitato (e ancora lievita) con il Covid-19 – e che ciascuno di noi arricchisce con ogni acquisto fatto online, dimenticando lo sfruttamento dei suoi lavoratori – Oxfam calcola un “surplus patrimoniale” nei primi 21 mesi di pandemia di 81,5 miliardi di dollari, l’equivalente del costo stimato della vaccinazione (due dosi e booster) per l’intera popolazione mondiale. E ancora: gli stessi dieci super-ricchi detengono una ricchezza sei volte superiore al patrimonio del 40% più povero della popolazione mondiale, ovvero di 3,1 miliardi di persone. Di più: “dall’inizio dell’emergenza Covid-19, ogni 26 ore un nuovo miliardario si è unito a una élite composta ormai da oltre 2.600 super-ricchi. Questo mentre i brevetti detenuti da Pfizer, BioNTech e Moderna hanno permesso di realizzare utili per 1.000 dollari al secondo, ma meno dell’1% dei loro vaccini ha raggiunto i Paesi a basso reddito, dove è stata vaccinata solo il 4,81% della popolazione”.

Sono numeri impressionanti. In altri tempi avrebbero provocato una reazione collettiva politica forte, un rovescio elettorale dei governi e dei partiti che lo hanno permesso. Se non un’autentica rivoluzione: un po’ come quella francese del 1789 contro l’Ancien Régime assolutistico e colpevole della disuguaglianza e della povertà dei sudditi di allora. E invece non accade nulla.

Eppure, oggi l’Ancien Régime è quello dei dieci supermiliardari citati sopra e che sono in gran parte anche i padroni dell’hi-tech e che governano/guidano/orientano/sorvegliano, attraverso la rete/digitale/social/Big Data, la vita (ne sono appunto i padroni) di miliardi di persone. Con il paradosso – parallelo a quello segnalato sopra – che noi li veneriamo come guru tecnologici, come imprenditori visionari, come maître à penser del nuovo che non si può e non si deve fermare e da cui ci attendiamo un futuro affascinante e meraviglioso e ricco e felice. E invece… Il problema è che questo Ancien Régime non è fatto solo di imprese autocratiche e di sovrani tecno-capitalisti circondati, come allora, dal lusso; ma anche di governi, di partiti, delle élite di Davos ma anche di larga parte degli elettorati dei paesi che si dicono democratici (Svizzera compresa). Abbiamo cioè dimenticato – come società, come persone, come cittadini: (1) il concetto di uguaglianza e di fraternità/solidarietà (e questo era appunto il piano neoliberale per renderci sempre più competitivi e flessibili, adattandoci senza reagire le esigenze del capitale e delle imprese); e (2) l’altro e correlato concetto, altrettanto fondamentale e necessario per il buon funzionamento di una democrazia e di un sistema di autentica libertà, quello della giustizia sociale.

Se rileggessimo un po’ di Keynes – “I difetti lampanti dell’economia odierna sono: la sua incapacità di provvedere alla piena occupazione; e la sua distribuzione arbitraria e iniqua della ricchezza e dei redditi. Il capitalismo non è intelligente, non è bello, non è giusto, non è virtuoso e non produce i beni necessari”. Inoltre, spreca deliberatamente una quantità enorme di risorse nella lotta per la concorrenza (e lo scriveva quasi cento anni fa, ma è di una attualità sconvolgente anche oggi) – se rileggessimo dunque un po’ di Keynes, non potrebbe che farci bene.

Ricordandoci di aggiungere giustizia ambientale (intergenerazionale, verso le future generazioni) a giustizia sociale.






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