C’ero quel giorno in un’aula gremita al Palazzo di giustizia di Parigi, il 6 novembre 2011, all’apertura del terzo processo contro Ilich Ramirez Sanchez. Noto nel mondo intero come Carlos, “lo sciacallo”, la figura più celebre temuta e determinata, ma per non pochi anche leggendaria, del terrorismo mondiale, soprattutto dopo il sequestro di undici ministri del petrolio dell’Opec, a Vienna, nei giorni di Natale del 1975. Già condannato in Francia a due ergastoli per diversi omicidi, in quel brumoso novembre parigino Carlos, atteggiamento arrogante e ampi sorrisi rivolti agli ‘amici’ guidati dal comico antisemita Dieudonné M’bala. Il terrorista era alla sbarra (ma fisicamente chiuso in un gabbiotto di vetro anti-proiettile), accusato di crimini di terrorismo. Appena gli venne concesso, prese la parola per leggere un appello. Era rivolto al presidente americano Obama, al quale in sostanza diceva: gli Stati Uniti sono responsabili della cattura e della scomparsa del combattente internazionalista Bruno Breguet, “se è vivo rimettetelo in libertà, se non lo è restituite le sue spoglie”.
Non era la prima volta che Carlos si occupava pubblicamente del locarnese sparito quando con la compagna inglese e la figlioletta era sbarcato ad Ancora su un traghetto proveniente dalla Grecia. La donna si era precipitata sulla banchina, aveva urlato che Bruno Breguet era scomparso. In realtà, disse la versione ufficiale, era stato bloccato dai doganieri italiani, dichiarato ‘persona non grata’, rimesso sullo stesso traghetto, e rispedito verso la Grecia. E non si sa se ci arrivò mai. Dopo il fermo era riuscito a telefonare alla famiglia nel Locarnese. Poche parole: “Se non avrete più notizie di me nei prossimi tre o quattro giorni, ci sarà da preoccuparsi”.
Anche allora era novembre, il novembre del 1995, e di lui non si seppe più nulla. Molte le ipotesi sulla sparizione del ticinese che era entrato nel gruppo di Carlos: forse era stato sequestrato dagli americani che di Bruno Breguet conoscevano i contatti con l’Organizzazione rivoluzionaria greca “19 Novembre” (un… ennesimo giorno di novembre), gruppo responsabile di diversi sanguinosi attentati soprattutto contro rappresentanze statunitensi, organizzazione interamente smantellata pochi anni dopo, con l’arresto del suo capo Alexandros Giotopoulos; forse catturato dalle forze francesi e trasferito in un carcere della Kfor in Bosnia (Kfor era la forza internazionale di interposizione fra bosniaci musulmani e bosniaci serbi), allo scopo di strappargli confessioni e rivelazioni su Carlos, arrestato da un reparto speciale francese in Sudan, mentre a Parigi si cercavano prove supplementari sulle attività terroristiche dello ‘sciacallo’ ; o forse finito, Bruno Breguet, nelle mani del Mossad israeliano, che lo aveva sempre nel mirino dopo che il ticinese aveva trascorso sette anni nelle carceri dello Stato ebraico, in seguito all’arresto ad Haifa, quando era sceso da una nave proveniente da Cipro e accusato di trasportare esplosivo per compiere attentati nello Stato ebraico (la sua versione di quegli anni di detenzione è stata data dallo stesso Breguet nel libro autobiografico “La scuola dell’odio”).
Oppure, si ipotizzò anche, oppure fatto sparire dai servizi siriani, perché troppo avrebbe potuto raccontare il giovane locarnese sulle complicità del regime di Damasco sul comodo esilio di Carlos e compagni nella capitale siriana. Molte ipotesi, labili tracce, nulla di concreto. Soltanto anni dopo la scomparsa ad Ancora, era emerso qualche tassello in più della storia: di un anonimo Breguet stabilitosi in un villaggio sulla costa greca (dove in seguito vennero rinvenute le ossa di un cadavere, ma le analisi esclusero che fossero del locarnese), del suo lavoro di carpentiere, di alcuni suoi tranquilli viaggi in Ticino, sempre via Ancona, e senza problemi alla frontiera.
Era sparito nel nulla il giovane internazionalista che, appena ventenne, era entrato come volontario nella resistenza palestinese, aveva aderito al Fronte popolare di Hawatmeh, uno dei pochi leader di orientamento marxista in una lotta armata anti-israeliana in realtà dominata dagli esponenti di una borghesia palestinese di stampo nazionalista, in primis Yasser Arafat. Aveva probabilmente frequentato i campi di addestramento in Libano, dove erano confluiti diversi volontari europei, come ci raccontò un portavoce dell’OLP, ragazzi e ragazze affascinate dalla lotta armata e da quella che ritenevano una giusta causa rivoluzionaria. Fino all’arresto nel porto di Haifa, e a una carcerazione contro cui si erano presto mobilitati diversi intellettuali europei (Sartre, Simone de Beauvoir, Dürrenmatt, G. Grass, Althusser, Barthes, Foucault, Dario Fo, Alberto Moravia, Chomsky, e molti altri), chiedendone la liberazione.
Per la prima volta il legame di Bruno Breguet con Carlos emerse quando il ticinese, alcuni anni dopo la sua uscita dal carcere israeliano, venne arrestato in Francia (era il 1982), insieme all’allora compagna dello ‘sciacallo’, la tedesca Magdalena Kopp, ex esponente dei gruppi rivoluzionari di Francoforte: fermati in un parcheggio sotterraneo degli Champs Élysées, mentre trafficavano attorno a un’auto, secondo la versione ufficiale Breguet aveva puntato la pistola contro i due agenti intervenuti, ma l’arma si era inceppata. Fu allora che Carlos inviò una lettera (pubblicata integralmente nel libro dell’inglese David Yallop, “Caccia allo sciacallo”), lettera autentificata con la sua firma, indirizzata al presidente Mitterrand, pretendendo, “da un governo socialista”, come sottolineò cinicamente nella missiva, l’immediato rilascio dei suoi due compagni, minacciando altrimenti una pesante rappresaglia. Minaccia che concretizzò dopo lo scontato rifiuto dell’Eliseo: l’esplosione di un ordigno su un treno (sul quale, si disse, avrebbe dovuto viaggiare anche l’allora sindaco di Parigi, Jacque Chirac), attentato che squarciò un vagone del convoglio e provocò la morte di cinque passeggeri. Vennero condannati Breguet e la Kopp, anche per appartenenza all’OSI (Organizzazione dei rivoluzionari internazionali), a quattro anni di detenzione. “Verdetto politico – mi confidò l’ufficiale della sicurezza al processo -, pena minima, decisa evidentemente in base a un compromesso, per evitare altri guai alla Francia”.
Breguet rientrò nell’ombra. Probabilmente, all’inizio, di nuovo in Siria, uno dei pochi paesi arabi impegnati fattivamente nell’aiuto alla resistenza palestinese. Tuttavia, l’ospitalità data al gruppo di Carlos (c’è una foto dello “sciacallo” riconoscibile e affacciato alla finestra di un edificio della periferia di Damasco) cominciava a diventare ingombrante per la dittatura di Assad padre, in cerca di legittimità internazionale, indispensabile in una fase in cui il regime siriano pensava di avviare negoziati (come poi avvenne nella conferenza di Madrid) anche con Israele. Carlos lasciava frequentemente il suo rifugio. Non solo per le sue attività terroristiche, commissionate spesso da regimi del Medio Oriente, ma anche perché sentiva crescere la pressione attorno a sé, e amava la bella vita (“Paranoico e pessimo amante”, si sentì in obbligo di precisare la Kopp dopo la separazione) . Fino alla cattura a Karthoum, nell’estate 1994. Due versioni dell’arresto: quella dei sudanesi, che ne rivendicarono l’arresto e la consegna di Carlos (causati, si disse, anche dai comportamenti ‘libertini’ del terrorista più ricercato al mondo); e la versione di Parigi, che insistette su uno spettacolare blitz delle forze speciali francesi. Di certo, lo “sciacallo”, convertitosi all’islam e infine sposo di una palestinese, venne “venduto” da chi, anche per motivi di politica internazionale, riteneva la sua latitanza contraria ai propri interessi.
È nel dopo-cattura di Carlos che si innesta subito dopo la misteriosa scomparsa di Bruno Breguet. Su cui ora lo storico svizzero specializzato in terrorismo e servizi segreti, Adrian Hänni (autore del libro “Terrorist und Cia-Agent”, ed. NZZ) getta una nuova, inedita e documentata luce sulle attività del ticinese: quella di essere stato al servizio dei servizi segreti americani, la CIA appunto, negli anni della sua latitanza in Grecia. Con “regolare stipendio” di 3.000 dollari al mese. Quanto lunga, quella latitanza in terra greca, con precisione non si sa. Confidenza, ma senza prove concrete né conferme ufficiali, che una decina di anni fa ci era già stata fatta da un giornalista della tv ellenica, Dimitri Deliolanes, allora corrispondente da Roma, ma sempre molto informato delle attività di ‘intelligence’ nel suo paese.
Ora, dall’intervista ad Adrian Hänni, ottenuta da Alan Crameri per la RSI, emerge, fra le ipotesi sulla fine di Bruno Breguet, anche quella che l’ordine di ‘sbarazzarsene’ possa essere stato impartito dallo stesso Carlos, che da tempo, pare, non si fidasse più dell’amico e sodale ticinese. Eppure, dall’aula del Tribunale di Parigi, nel lontano novembre di 12 anni fa, Ilic Ramirez Sanchez lesse il suo pubblico appello a Barak Obama per avere notizie ufficiali sulla sorte di Bruno. Un altro enigma. In una vicenda che ha innumerevoli pieghe ancora nascoste, e molti tasselli tuttora oscuri.
Per comodità dei lettori riportiamo qui la trascrizione dell’intervista di Alan Crameri a Adrian Hänni che si può ascoltare nel sito della RSI
Alla luce delle sue ricerche, dobbiamo riscrivere la biografia di Bruno Breguet?
“Penso di sì, va di certo perlomeno aggiornata, perché queste nuove scoperte sulla collaborazione di Bruno Breguet con la CIA gettano una luce completamente nuova sulle attività di questo estremista ticinese.”
Il dubbio che lui avesse avuto contatti con la CIA c’era già… Lei cos’ha scoperto concretamente?
“Dagli archivi negli Stati Uniti è emerso che Bruno Breguet ha iniziato a lavorare per i servizi segreti americani nel 1991 e poi, per diversi anni, come agente, ha informato la CIA sulle attività del gruppo Carlos in particolare, ma anche di altri terroristi attivi a livello internazionale.”
Lei è certo quindi che lui lavorava per la CIA, non ha dubbi?
“No, i documenti che ho trovato non lasciano dubbi sul fatto che abbia lavorato con la CIA per un lungo periodo di tempo. La CIA gli versava 3’000 dollari al mese per gli incarichi che regolarmente gli attribuiva, soprattutto per fare la spia contro i suoi ex compagni. In questo senso era formalmente un agente della CIA.”
Come ha lavorato lei, dove ha trovato i documenti che finora nessuno aveva visto?
“La parte principale delle informazioni che ho trovato, era in un dossier della CIA su François Genoud, banchiere losannese convinto del nazionalsocialismo. Dossier reso pubblico nel 2006 in base a una legge sulla pubblicazione di documenti relativi ai crimini nazisti… e siccome Bruno Breguet ha fornito alla CIA informazioni anche su Genoud, ho avuto la fortuna di scoprire l’attività per la CIA di Bruno Breguet.”
E quanto ha aiutato la CIA Breguet? Ha permesso di sventare attentati?
“Difficile da valutare. In realtà ha fornito informazioni su membri del gruppo di Carlos, che però da tempo non compivano attentati perché erano in fuga. Informazioni più rilevanti su attentati potrebbe averle fornite in relazione a estremisti di sinistra in Grecia. Ma non ho trovato prove, è solo un’ipotesi.”
Ma Lei ha capito perché Breguet decise di collaborare con la CIA?
“Questa è la domanda più interessante. Perché ha tradito il suo gruppo, le sue convinzioni, per collaborare con gli odiati avversari della CIA? Probabile una certa delusione, disillusione. Da un lato, Carlos cominciò a diffidare di lui. Inoltre, Breguet doveva svolgere incarichi sempre più pericolosi, mentre i leader del gruppo vivevano una vita sicura e sfarzosa a Damasco. Ci sono anche alcuni indizi su promesse non mantenute nei suoi confronti, soldi che gli spettavano da un’estorsione e che non ha mai ricevuto. Poi c’è il contesto storico: all’inizio degli anni 90, dopo la caduta del Muro di Berlino, quando l’Unione Sovietica era ormai agli sgoccioli, Breguet si è accorto che il mondo della militanza estremista di sinistra stava finendo… e che forse era l’ultimo momento utile per vendere cara la sua pelle.”
L’allora procuratrice federale Carla del Ponte aveva aperto un procedimento preliminare contro Bruno Breguet… dai documenti che ha visto, cosa sapevano gli svizzeri dei suoi legami con la CIA?
“Nei fascicoli della Procura federale che ho potuto visionare non c’è alcuna prova che Carla Del Ponte ne sia stata a conoscenza. Ma naturalmente è possibile che sia stata informata a voce, in modo informale. Ma di prove non ne ho. A Washington ho trovato invece alcune note su informazioni passate a un agente segreto svizzero, in maniera vaga, ma abbastanza per intuire che c’era sotto qualcosa.”
La certezza che Breguet fosse una spia della CIA cambia qualcosa sul mistero legato alla sua scomparsa sul traghetto dall’Italia alla Grecia nel 1995?
“Penso di sì. Rende molto più probabile l’ipotesi che sia stato vittima di un atto di vendetta da parte dei suoi compagni traditi. Lo stesso Carlos aveva già liquidato due presunti traditori negli anni 80… quindi – anche se in quel periodo era in carcere – non è da escludere che abbia attivato dei killer. Ma restano forti dubbi. Altri possibili sospetti possiamo farli cadere sugli estremisti di sinistra in Grecia. Non abbiamo però certezze. Solo che era in viaggio dalla Grecia al Ticino, ma ad Ancona gli fu impedito di sbarcare in quanto persona non grata in Italia. La sua compagna e la figlia proseguirono il viaggio verso il Ticino. Bruno Breguet dovette restare sul traghetto e tornare indietro… ma in Grecia non si registrò il suo sbarco. Era sparito, e da allora non se ne seppe più nulla.”
Nell’immagine: la copertina del libro di Adrian Hänni