Codice rosso per il pianeta
Per ‘madre terra’ sembra l’ultima chiamata. Dall’ONU allarmante rapporto di 200 scienziati sulla violenza dei cambiamenti climatici, causati ‘inequivocabilmente’ dalle attività umane
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Per ‘madre terra’ sembra l’ultima chiamata. Dall’ONU allarmante rapporto di 200 scienziati sulla violenza dei cambiamenti climatici, causati ‘inequivocabilmente’ dalle attività umane
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Per ‘madre terra’ sembra l’ultima chiamata. Dall’ONU allarmante rapporto di 200 scienziati sulla violenza dei cambiamenti climatici, causati ‘inequivocabilmente’ dalle attività umane
Ultima chiamata per il pianeta. Eppure ancora in questi giorni i messaggi della natura non non sono mancati. Paesaggi lunari lasciati dai grandi incendi. Paesaggi da dopoguerra dove la violenza delle alluvioni ha avuto gli stessi effetti di un bombardamento, case squarciate, città piagate, argini dei fiumi saltati, ponti sommersi, pascoli cancellati. E vittime. Troppe vittime. Mentre è ancora e sempre il nostro rapporto malato con la natura, animale o vegetale, la nostra arroganza o indifferenza, all’origine – qualunque sia la causa immediata che ha scatenato il virus – della ‘nuova peste’ da Covid-19, che nasce dallo squilibrio imposto a ciò che di animato ci circonda e che viene ferito a morte, stravolto, dissacrato al di là di ogni senso e misura, tanto da far dire agli specialisti che conosceremo un secolo di nuovi virus e probabilmente di altre pandemie.
Segnali continui, ma che per lo più ci lasciano alle comprensibili e immediate inquietudini della sopravvivenza quotidiana, che si tratti di fiamme acque infezioni planetarie fuori controllo. Sembrano sempre fenomeni lontani, problemi d’altri, rogne da paesi sottosviluppati e disorganizzati, fin quando non ce li ritroviamo in casa, la violenza dei nubifragi, le vie di comunicazione tagliate dalle frane, il traffico impazzito, le strade e le abitazioni sommerse dal fango, le famiglie evacuate. E i benefici del progresso anche tecnologico che da corazza protettrice si trasmettono una sensazione anche di maggiore fragilità e perdita. Tanti segnali, tanti messaggi inascoltati.
Perché, allora, aspettarsi, o illudersi, che quest’ultimo drammatico rapporto IPCC dell’Onu (Intergovernmental Panel on Climate Change 2021, pubblicato ieri) sulla violenza dei cambiamenti climatici ‘inequivocabilmente’ causati dalle attività umane, documento che raccoglie le conclusioni di oltre duecento scienziati e di 14.000 articoli specializzati, possa davvero incidere sulle nostre abitudini e sull’inerzia colpevole di una parte non piccola di mondo politico: che non capisce perché non vuole capire, che irride trumpianamente alla sensibilità magari disordinata e naïve dell’ambientalismo più giovane, fresco e autentico; che disorienta gli elettori con slogan negazionisti; che alza subito la falsa bandiera degli inaccettabili balzelli (anche quando economicamente sostenibili) che prima o poi bisognerà accettare se si vuole uscire da quello che, una volta ancora, gli esperti ci dipingono come un futuro in cui sarà difficile recuperare il tempo perduto, in cui le violente mutazioni climatiche non faranno che aumentare, in cui un giorno è l’acqua che ci sommergerà e il giorno dopo torneranno le fiamme a devastare i boschi e quanto ci sta dentro e attorno.
Per salvarci, o almeno per contenere i danni e poi darsi una nuova prospettiva, il rapporto ONU, particolarmente inquietante, anzi il più allarmato da quando l’IPCC pubblica le sue analisi preoccupate, ci vorrebbe “uno sforzo immediato e su larga scala” da parte dei paesi di tutto il mondo per ridurre le emissioni inquinanti. Da quelli dove si continua a credere che saranno i progressi della tecnologia a risolvere ogni cosa; a quelli che, impegnati in una faticosa e spesso introvabile crescita economica, continuano a ritenere sopportabile il peso dei veleni ambientali pur di uscire dal sotto o semi-sviluppo. In un caso e nell’altro, pura e miope legge di mercato, con lo Stato in ritirata. Non è troppo tardi – dice il rapporto cercando uno spiraglio di ottimismo – “non è troppo tardi per impedire che nei prossimi decenni le temperature medie globali aumentino più di 1,5 gradi rispetto al periodo pre-industriale, considerata una soglia di riferimento per evitare in futuro prossimo danni catastrofici.
Tutto sostanzialmente già detto e promesso negli Accordi di Parigi. Che registrano un bassissimo tasso di applicazione in tutti le nazioni firmatarie. E pensate che ora qualcosa possa davvero cambiare dopo l’ennesimo codice rosso?
Nell’immagine: “Changing” di Alisa Singer, dal sito del rapporto (link nel testo)
Riflessioni anche controcorrente dell’inviato ticinese Filippo Rossi, collaboratore di quotidiani svizzeri e del settimanale l’Espresso
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