Diario della crisi – Recessione e inflazione
I mercati finanziari vogliono la recessione, le banche centrali vogliono contenere l'inflazione, è un gioco delle parti che ha al suo centro la medesima volontà di spezzare la spirale prezzi-salari
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I mercati finanziari vogliono la recessione, le banche centrali vogliono contenere l'inflazione, è un gioco delle parti che ha al suo centro la medesima volontà di spezzare la spirale prezzi-salari
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I mercati finanziari vogliono la recessione, le banche centrali vogliono contenere l'inflazione, è un gioco delle parti che ha al suo centro la medesima volontà di spezzare la spirale prezzi-salari
Negli ultimi mesi del 2022 l’inflazione globale ha dato segni di rallentamento. Ad esempio, in Europa è diminuita dal 10.6% al 10%. Dall’estate scorsa i prezzi dell’energia sono calati, i prezzi dei beni alimentari sono pure diminuiti e le catene d’approvvigionamento sono meno ingolfate. La stabilizzazione internazionale dei prezzi all’ingrosso dei beni alimentari non si è però tradotta in minor inflazione per le economie domestiche su scala globale (Financial Times, 6 dicembre, p. 3) .
In ogni caso, le tre banche centrali, la Fed, la BCE e la Bank of England, a metà dicembre hanno rallentato l’aumento dei tassi di interesse (mezzo punto percentuale in meno rispetto ai 4 aumenti precedenti dello 0.75%). Negli US i tassi della Fed si situano ora tra il 4.25% e il 4%, in Europa la Bce li ha fissati al 2% [dall’8 febbraio passano al 3%, n.d.r.] e nel Regno Unito i tassi sono al 3.5%.
I mercati finanziari hanno reagito in modo diverso alle mosse delle tre banche centrali: la reazione alle esternazioni della Lagarde ha causato il calo più consistente (-2.5% dell’indice benchmark S&P 500, 15 dic.). Secondo il Financial Times (FT, 17/18 dicembre), queste differenti reazioni dei mercati finanziari definiranno le strategie delle banche centrali a fronte del calo dei tassi d’inflazione, o comunque del suo andamento.
È un fatto che le banche centrali hanno voluto dare un messaggio molto chiaro rispetto alla loro determinazione di voler contrastare l’inflazione, ma i rischi politici sono pur sempre elevati. In questo fine 2022, le domande degli analisti sono le seguenti: l’inflazione ha davvero raggiunto il suo picco? Di quanto potranno ancora aumentare i tassi d’interesse? La recessione sta per esplodere (US), quanto durerà (Europa) oppure ci siamo già dentro (come in UK)? Quando le banche centrali invertiranno la stretta, ridando così ossigeno ai mercati finanziari?
È un fatto che non appena i mercati sentono odore di recessione, e quindi di possibile riduzione dei tassi d’interesse, ripartono alla grande, salvo poi recedere quando i dati sull’inflazione dimostrano che siamo ancora lontani dall’obiettivo del 2% (obiettivo che però sembra chimerico). I mercati finanziari vogliono la recessione, le banche centrali vogliono contenere l’inflazione, è un gioco delle parti che ha al suo centro la medesima volontà di spezzare la spirale prezzi-salari reminiscenza della stagflazione degli anni ’70. Naturalmente, molto dipende dalla guerra in Ucraina e dall’andamento dei prezzi energetici, dal cambiamento climatico, dal cambiamento delle politiche anti-Covid in Cina, dagli effetti macro-economici degli aumenti dei tassi di interesse, dalla spesa di famiglie e imprese che, se al ribasso, non farà che peggiorare sostanzialmente la (possibile) recessione.
Secondo l’Economist (The monetary marathon, 10 dicembre, p. 68), sono tre le ragioni per cui la lotta all’inflazione da parte delle banche centrali è lungi dal poter raggiungere l’obiettivo del 2%. In primo luogo, la continua scarsità di forza-lavoro: mentre le notizie sul fronte dei prezzi sembrano buone, scrive il settimanale, “the latest wage data are worrying”. Negli USA, negli ultimi tre mesi i salari sono aumentati del 5.1% su base annua, e da quando i dati sono stati pubblicati i mercati azionari sono calati in attesa di aumenti prolungati dei tassi di interesse. Più o meno a questi stessi livelli i salari in Gran Bretagna, con scioperi che lasciano presagire aumenti più consistenti. In Europa la situazione sul mercato del lavoro è meno tesa, ma l’inflazione energetica rischia di intaccare il resto dell’economia e di generare aumenti salariali per contrastare l’aumento del costo della vita. È evidente che per l’Economist è il salario reale che deve diminuire, dato che gli aumenti dei salari nominali sono ancora ben al di sotto del tasso di inflazione.
In secondo luogo, il problema della fiscal policy. Le politiche pubbliche espansive andrebbero moderate in linea con le politiche anti-inflazionistiche delle banche centrali.
Tuttavia, negli Stati Uniti il recente l’Inflation Reduction Act riduce in minima parte l’indebitamento pubblico, a maggior ragione il condono dell’amministrazione Biden di parte dei debiti degli studenti. In Europa, i sussidi per la lotta contro il rincaro energetico rischiano di surriscaldare l’economia, come è successo nel 2021 negli Stati Uniti con l’”American Rescue Plan”. In Inghilterra, le misure di risparmio entreranno in funzione solo nel 2025. Due terzi della spesa energetica della UE è per il controllo dei prezzi, ciò che, secondo l’Economist, è molto dispendioso e disincentiva il risparmio energetico. Oltretutto, solo un quinto della spesa energetica è mirato sui più poveri. È quindi prevedibile che i sussidi aumenteranno nei prossimi mesi.
In terzo luogo, nel 2023 l’inflazione energetica è destinata a riaccendersi perché l’economia cinese, diversamente dal 2022, si riaprirà e si riprenderà in conseguenza di politiche anti-Covid meno restrittive. La concorrenza globale per l’approvvigionamento di gas naturale liquefatto (liquified natural gas, LNG) sarà quindi elevata. Benché la battaglia contro l’inflazione delle banche centrali abbia raggiunto un punto di inflessione, conclude l’Economist, “it will not be won for a long time”.
L’economista Nouriel Roubini, il “dottor Doom” dell’Università di New York che anticipò la crisi finanziaria del 2007-08, sostiene che il sovraindebitamento delle economie domestiche, delle imprese private; i disavanzi abissali degli Stati; il ritorno dell’inflazione; la fine delle politiche monetarie accomodanti delle Banche centrali (con denaro a costo zero) sono tutti gli ingredienti per un crack economico-finanziario. Roubini prevede un duplice colpo: 1) le Banche centrali aumenteranno i tassi di interesse per ripristinare la stabilità dei prezzi e gli “zombi” (famiglie, imprese, società finanziarie, Stati) subiranno un colpo brutale per i costi del debito, il calo dei redditi e delle entrate, la svalutazione degli attivi; 2) Tutto questo porterà alla stagflazione (aumento dei prezzi, accompagnato da crescita debole), come negli anni ’70, ma a quei tempi l’indebitamento era basso (Project Syndicate, 2 dicembre, ripreso da Silvano Toppi, “Sarà un atterraggio rude, prevede il dottor Destino”, in Area, 16 dicembre 2022).
Prima parte del contributo pubblicato anche dai siti “Effimera.org” e “Machina”
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