Fine di Credit Suisse, sciagurata incompetenza e troppi silenzi
I misfatti di una banca nata 167 anni fa, destinata al collasso, “acquistata” da UBS per soli 3 miliardi, mossa obbligata per salvare la nostra piazza finanziaria e non solo
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I misfatti di una banca nata 167 anni fa, destinata al collasso, “acquistata” da UBS per soli 3 miliardi, mossa obbligata per salvare la nostra piazza finanziaria e non solo
• – Aldo Sofia
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A proposito di due recenti (e affrettatissime) nomine della Divisione della cultura e degli studi universitari
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• – Redazione
La Fed contro la classe operaia - In un momento di eccezionale instabilità dei mercati, la Banca Centrale americana si interroga su una nuova manovra di innalzamento dei tassi, che la BCE ha già adottato
• – Christian Marazzi
Sulla scia di Federer strani svizzeri crescono e forse ci definiscono (per eccesso)
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Forte produttore di di materie prime, il Paese dell’Asia Centrale va alle urne per un’ulteriore svolta democratica che lo avvicini all’Europa: crescono gli interessi economici svizzeri
• – Donato Sani
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• – Lelio Demichelis
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• – Redazione
Crimini di guerra e mandato di cattura del Tribunale internazionale per lo zar russo, alla vigilia dell’arrivo dell’alleato cinese a Mosca
• – Aldo Sofia
I misfatti di una banca nata 167 anni fa, destinata al collasso, “acquistata” da UBS per soli 3 miliardi, mossa obbligata per salvare la nostra piazza finanziaria e non solo
Fine dell’istituto fondato nel 1856 da Alfred Escher. E nascita di una super-Ubs. Un colosso, un monopolio. Al quale, per indorare la pillolona da ingoiare con qualche legittima apprensione, il Consiglio federale accorda un rassicurante assegno di nove miliardi di franchi. Una sorta di polizza assicurativa. Infatti, chissà mai che dai cassetti della banca azzerata non escano altre, finora sconosciute pendenze miliardarie. Il mondo della finanza plaude, quello dei partiti svizzeri tira un sospiro di sollievo, quello della clientela non sa ancora che pensare. Soprattutto il piccolo o medio risparmiatore. Se hai ottenuto un credito oppure un’ipoteca da CS, saranno confermati o voleranno i tassi con il nuovo “padrone” del tuo debito?
A pagare, di sicuro, saranno gli impiegati. L’ultima sforbiciata sul personale era costato il lavoro a circa quattromila addetti. C’è da scommettere che stavolta saranno molti di più. Un incubo per molte famiglie, ci sono i piani sociali, ma è magra consolazione, e infatti l’associazione professionale dei bancari svizzeri già chiede legittimamente una ‘task force’ di pronto e più efficace intervento.
Tacciono invece i cantori del liberissimo mercato. Quando serve, l’intervento dello Stato bistrattato e da ridurre va benissimo, è salvifico come per superare i guai economici della pandemia. Tanto poi, passata la paura, si tornerà a chiederne e pretenderne il ridimensionamento, come nel dopo emergenza sanitaria.
Del resto, la fine di Credit Suisse è il tradimento di un altro principio che sembrava scolpito nella pietra: quello delle regole e delle verifiche introdotte dopo la crisi finanziaria del 2008 per evitare di doversi ritrovare alle prese con le “too big to fail”, le “troppo grandi per fallire” e per evitare altre minacciose macerie. E CS è, pardon era appunto (come ha voluto ricordare ieri Alain Berset) una delle trenta “banche sistemiche” del pianeta. È invece bastato il fallimento di un istituto americano legato agli investimenti nel settore tecnologico della mitica Silicon Valley, per mandare gambe all’aria il numero due del mondo bancario elvetico, che nella disgrazia della banca al di là dell’Atlantico c’entrava come i classici cavoli a merenda.
In realtà, Credit Suisse, negli ultimi mesi alla ricerca di una nuova salvifica strategia ancora tutta da collaudare, paga innanzitutto il crollo del suo “fattore F”. Dove “F” sta per “Fiducia”. Troppi errori nell’investment trading e Hedge Fund, troppi appetiti famelici nel gioco della speculazione maggiormente a rischio, troppi miliardi gettati al vento mettendosi in combutta con società americane che dovevano fare anche i conti con la giustizia, troppi investimenti fuori logica (come in quegli impianti di uno Stato africano per la lavorazione… del tonno), troppa incapacità e incoerenza nella comunicazione esterna. E, se non bastasse, troppi dirigenti al vertice cambiati in un battibaleno, e anche troppo ridicolo l’affaire dei pedinamenti di manager sospettati e bullizzati perché ritenuti o infedeli o incapaci.
Un grumo di incompetenza e inefficienza alla fine pagate con la fuga di uno dei partner (americano) più “pesanti”; nonché, all’ultimo, dallo sfilarsi dell’Arabia Saudita (il maggior azionista di CS con il 9,9 per cento), quando una settimana fa la “Saudi National Bank” dichiarò attraverso un suo dirigente che “assolutamente non sosterrà” un aumento di capitale, doccia gelata sul quartier generale di Zurigo. Vai allora a ristabilirla, la Fiducia.
E poi… e poi le nostre autorità, quelle che dovrebbero garantire il sistema di sorveglianza e quindi anche di prevenzione. Consiglio federale, Banca Nazionale, Finma. Lunghi silenzi, imbarazzante passività a fronte dell’inarrestabile emorragia in atto. Fino all’estremo limite. Fino a un secondo a mezzanotte. Quando è apparso chiaro che la prossima riapertura delle Borse nella lontana Asia avrebbe quasi sicuramente decretato il collasso. Fine del calvario per Credit Suisse. Ma non del discredito che la disastrosa gestione del management (ma di tasca propria non sborserà nemmeno un centesimo dei mega stipendi intascati) ha spalmato a piene mani sul sistema bancario nazionale. Non per nulla la prima reazione dei mercati asiatici non è stata proprio un alleluia.
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Il “passato che sembra non passare mai”, in Ticino, (di cui hanno saggiamente parlato qui, ripreso da La Regione, Spartaco Greppi e Christian Marazzi) non è dell’altro ieri e non...