Il diritto di sbagliare
Lo ha la RSI, insieme a quello di sperimentare e anche di… svoltare
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Lo ha la RSI, insieme a quello di sperimentare e anche di… svoltare
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Lo ha la RSI, insieme a quello di sperimentare e anche di… svoltare
Io apprezzo e stimo la Televisione e l’ho sempre difesa (come servizio pubblico) per molto di quanto riesce a produrre e a proporci. Ed è buono, tanto e straordinario, soprattutto rispetto a tutti i suoi limiti e alle sue costrizioni, economiche e… politiche. Ho comunque sempre sostenuto, anche all’interno, che la nostra Televisione “deve fare la differenza”, nel senso che – con il pretesto della concorrenza o dell’”audience” da raggiungere – deve guardarsi bene dalla tentazione di sbertucciare le televisioni della vicina Repubblica, in particolare quelle private. Nel senso, quindi, della faciloneria, del tutto deve essere spettacolo frivolo volgare e acchiappamosche, della cosiddetta impostatura alle “bollicine” (vuoto spumeggiante) o della chiacchiera infinita o dell’onnipresenza della confusionaria tematica politica ad effetto o della corte dei soliti immancabili politici o della stupidità che si fa pandemia, male ormai generalizzatosi (e qui mi accodo a quanto ha scritto Andrea Ghiringhelli poco tempo fa su LaRegione). Questa tentazione è fortemente presente, è innegabile, è avvertita anche all’interno. con malumore e tensioni tra giornalisti e collaboratori validi e seri, e sta purtroppo riemergendo in modo preoccupante e suicidario negli ultimi tempi, tanto da rendere “disgustosi” o “inascoltabili” (termine usato da alcuni che mi hanno telefonato o scritto) alcuni programmi, soprattutto di informazione. E forse a quest’aria ha ceduto alquanto anche Turné Soirée.
Turné Soirée, nelle intenzioni del suo ideatore (Damiano Realini, che è un professionista preparato e valido), aveva certamente un buon obiettivo: riuscire a fare da intermediario tra il libro, da leggere, e il telespettatore; facendolo anche in maniera accettabile, non pesante, non dottorale, quasi da incontro… di condominio. Poteva anche starci. Forse si poteva anche solo estendere, perfezionandolo, l’altro Turné, appendice del Quotidiano, che nella presentazione di libri aveva pure ottime e serie collaboratrici.
La Televisione ha il diritto alla sperimentazione, cosi come un’industria ha l’obbligo della ricerca, perché è in questo modo che si può cambiare, migliorare, trovare altre forme e linguaggi. Bisognerebbe comunque sempre accompagnare quell’obiettivo con un altro, fondamentale: l’intermediazione, che avviene con tutti i mezzi anche tecnici di cui dispone il mezzo (il medium), deve tendere ad alzare il livello d’impegno del telespettatore, non ad abbassarlo, con l’unica preoccupazione di non annoiarlo o di ritenerlo sempre refrattario a ciò che è etichettato come “culturale”. Se finisci solo sulla spettacolarizzazione, per di più anch’essa claudicante per non dire insipiente, crolla tutto il condominio e il libro, che doveva essere il vero protagonista, finisce come l’ospite che puzza, che vaga non si sa dove, o racchiuso, quando va bene, in un loculo di due minuti, dove una presentatrice, pur brava e mal “sfruttata”, osa fare una proposta, mentre altri ospiti disattenti del condomino gironzolano qua e là o appaiono a turno dentro l’obiettivo della camera esponendo più naso ed orecchie che idee o commenti. Il programma musicale “Paganini”, ad esempio, osa fare questo e lo fa anche bene; ma richiede anche attenzione dal telespettatore, com’è giusto ed opportuno. Il Giardino di Albert è un altro esempio positivo che viene alla mente. Tempi moderni, che tratta materia non facile e ritenuta ostica, il più delle volte ci riesce, destando interesse.
La Televisione, giustamente sperimentando, ha però anche il diritto all’errore. Chi non sbaglia? Bisognerebbe quindi riconoscere che quel programma non ha raggiunto il suo obiettivo, non dovrebbe quindi andare avanti così, è uno spreco, o si cambia o si chiude. Turné deriva anche da voltare.
Oppure il discorso deve essere ancora un altro, suggeritomi da quanto promana dall’interno, con dietro la minaccia del licenziamento se parli (e qui… riscopriamo Voltaire). Una rubrica “culturale”, sui libri, richiede una buona struttura redazionale, di chi prepara, legge, contatta autori ed editori, si sposta e viaggia, vaglia le varie possibilità, intervista, fa ricerca di immagini, ha a disposizione, senza elemosinarla, tutta la struttura d’appoggio tecnica o grafica. Non si pretende la trentina di persone della redazione della “Grande Librairie” della 5 francese. A quanto risulta, però, il povero Damiano Realini, produttore e conduttore, dev’essere quasi solo o giù di lì. Il discorso è altro perché dipende dall’assegnazione dei mezzi e delle persone: sarebbe bello sapere, ad esempio, quanto si dedica, in fatto di mezzi (economici e tecnici) allo sport e quanto alla cultura, quanto (ma si dirà che è indice di ascolto o demagogia) ai diritti per l’inquinante Formula Uno ad Abu Dhabi, dove le “bollicine” si sprecano, e quanto… al Ticino o al Grigioni italiano, terre di editori e di potenziali lettori.
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