“Metaverso”… ma verso dove?
Senza chiederci se lo vogliamo o no, il padrone di Facebook ha deciso di farci vivere in un mondo virtuale. E nessuno glielo può impedire
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Senza chiederci se lo vogliamo o no, il padrone di Facebook ha deciso di farci vivere in un mondo virtuale. E nessuno glielo può impedire
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Senza chiederci se lo vogliamo o no, il padrone di Facebook ha deciso di farci vivere in un mondo virtuale. E nessuno glielo può impedire
Dopo giorni di accuse circostanziate a Facebook e a Mark Zuckerberg in particolare – documenti interni alla mano – rei di avere favorito deliberatamente l’odio online e la diffusione di fake news mettendo i profitti davanti alla sicurezza, ecco la replica: Metaverso. Arrivata o rilanciata con tempismo perfetto come ogni classica arma di distrazione di massa per rilanciare un sistema di social in evidente crisi di immagine. Cui è stata abilmente aggiunta – per avere il sostegno di governi e opinione pubblica – la promessa di creare 10’000 posti di lavoro in Europa entro i prossimi cinque anni, necessari, dice la promessa, per dare vita a un nuovo mondo digitale, ancora più affascinante di quello attuale.
E allora, avendo sullo sfondo Metaverso, concentriamoci su due o tre questioni a intersezione tra comportamenti sociali, immoralità strutturale del capitalismo, nostro feticismo compulsivo per la tecnologia e conflitto tra tecno-capitalismo e democrazia e quindi libertà dell’uomo.
Torniamo agli inizi della storia di Mark Zuckerberg (e nostra): come è stato possibile che Facebook (e poi gli altri social) raggiungesse il successo in così breve tempo, offrendosi con la parola-magica di amicizia e poi di like? Molta stupidità umana; un conformismo digitale crescente e tendenzialmente totalitario; il bisogno umano di non sentirsi soli sfruttato abilmente dal capitalismo, posto che i social sono imprese private (lo dimentichiamo sempre) il cui obiettivo, come per tutto il capitalismo, è quello di massimizzare i profitti per sé, con ogni mezzo e senza alcuno scrupolo. Cosa ovviamente non nuova – il cinismo del capitale – e basta ricordare l’industria del tabacco, del petrolio, delle armi, della finanza e delle banche, per non dire del resto, e oggi le lobby che manovrano per far fallire Cop 26 sulla crisi climatica. Il cinismo è infatti strutturale al capitalismo – in realtà a ogni forma di potere ma oggi il potere è tutto (totalitario?) del tecno-capitalismo, dove poche imprese multinazionali private governano direttamente la vita di miliardi di persone in nome del loro profitto (non era mai successo nella storia) – e i social non sono da meno, anzi ne sono la forma più perfetta. Semmai è inquietante la nostra credulità, la nostra totale mancanza di spirito critico, il nostro dover/voler essere bambini mai cresciuti (è questo che vuole il marketing) che rincorrono ogni nuovo giocattolo tecnologico al grido – ormai inconscio, ma potentissimo – di: lo voglio! Ed eccoci quindi ora pronti a lasciarci conquistare/affascinare da Metaverso, termine che rimanda a Neal Stephenson e al suo romanzo Snow Crash, genere cyberpunk, pubblicato nel 1992. Immaginato come la nuova frontiera di Internet, cioè oltre il mondo virtuale odierno e dove gli utenti, per mezzo dei loro avatar, vivranno esperienze interattive multimediali straordinarie e immersive, accrescendo ancora di più le interazioni umane (la socialità, di nuovo mediata però dalla tecnologia perché possa produrre dati e quindi profitto capitalistico; di nuovo la promessa di costruire comunità, di mettere in contatto soggetti in realtà sempre più isolati dagli altri proprio a causa della tecnologia), liberandoci dal peso dei vincoli fisici. Ma anche, aggiungiamo, permettendo al tecno-capitalismo di farci dimenticare di nuovo la drammaticità della crisi climatica (e sociale) presente nella realtà vera.
Metaverso come evoluzione di Facebook, dunque. E ovviamente “non si tratterà solo di creare una nuova formidabile esperienza”, ma anche “un’onda economica che potrebbe creare nuove opportunità per le persone di tutto il mondo”. Cioè – di nuovo – business e profitti per Mark Zuckerberg. E qui veniamo al vero punto critico impostoci della tecnica, ma che nessuno affronta seriamente (o volutamente): il conflitto tra potere delle imprese (tecnologiche ma non solo) e democrazia.
Scriveva il sociologo italiano (troppo in fretta dimenticato) Luciano Gallino (1927-2015), nel 2011: “Il fatto nuovo del nostro tempo è che il potere della grande impresa di decidere a propria totale discrezione che cosa produrre, dove produrlo, a quali costi per sé e per gli altri, non soltanto non è mai stato così grande, ma non ha mai avuto effetti altrettanto negativi sulla società e sulla stessa economia”. E aggiungeva: “il potere esercitato dalle corporation sulle nostre vite configura un deficit di democrazia tale da costituire ormai il maggior problema politico della nostra epoca”.
Ovvero, abbiamo il problema – ancora più urgente oggi – di imparare a governare i processi di innovazione tecnologica. Pratica mai tentata finora perché resa impossibile dall’autocrazia dell’imprenditore neoliberale (ogni controllo violerebbe la mia libertà, io sono il vero creativo e innovatore), ma soprattutto dal mainstream tecno-capitalista che ci porta a credere (proprio in senso religioso/fideistico) che l’innovazione tecnologica sia sempre il nuovo che avanza – meraviglioso sempre, a prescindere dai suoi effetti – e che quindi non si debba fermare mai. Mentre invece – lo diciamo da tempo – si deve fermare o almeno regolamentare se minaccia la democrazia e la libertà degli uomini, oltre alla biosfera.
Chiudiamo facendo nostre le parole scritte qualche giorno fa da Christian Rocca, direttore de Linkiesta: Metaverso “è soltanto cosmesi per nascondere il fatto che Zuckerberg non ha alcuna intenzione di cambiare rotta, anzi pensa di modellare [ancora di più] la società del futuro sui principi del gaming e di passare al nuovo livello di controllore unico dell’ambiente virtuale e fisico collegato a Internet. […] Una prospettiva spaventosa, visti i precedenti. Sui giornali americani il dibattito è partito con grande intensità. L’editoriale di apertura dell’ultimo numero dell’Atlantic lo scrive senza giri di parole: ‘Facebook [è molte cose insieme, ma oggi] in realtà è anche una potenza straniera ostile’. E come una potenza ostile andrebbe affrontato, perché a una potenza straniera ostile non si può consentire che si costruisca un suo ecosistema virtuale e alternativo a quello reale, dentro il quale intrappolare e manipolare miliardi di utenti”. Ma il problema non è ovviamente solo Zuckerberg, ma tutta la Silicon Valley.
Nell’immagine: adattamento da Pieter Bruegel il Vecchio, Parabola dei ciechi (1568), dettaglio
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