Nei suoi editoriali, solitamente il direttore del “Corriere del Ticino” Paride Pelli assume un tono per lo più conciliante e interlocutorio, persegue un principio di “equilibrio” (che a volte, se è consentito, può esser preso per “equilibrismo”) in cerca di prospettive moderate e condivise intorno ai temi d’attualità.
Insomma, i suoi son tutt’altro che “giudizi di Paride”, che nella mitologia e nella storia hanno avuto un esito cruento (la guerra di Troia, per intenderci, mica uno scherzo). No, qui niente di decisivo e di grave per le sorti nostre, di contemporanei che cercano di leggere e capire, ciascuno a suo modo e con i propri limitati mezzi, i fatti scottanti del momento.
Prendiamo l’autogestione a Lugano, che ha avuto sabato scorso una nuova occasione di manifestarsi con un corteo che ha attraversato la città per concludersi con una festa nel parco di Villa Saroli.
Qualche centinaio di giovani (e meno giovani) che hanno provato a dar voce ad un noto ed evidente stato di “disagio” cercando nel contempo di tener accesa l’attenzione sul destino di un’esperienza sociale e culturale che ha una storia di 50 anni, che ha avuto sviluppi ed attestazioni in tutti i maggiori centri urbani del nostro paese e che a Lugano, dopo 25 anni dall’occupazione dei Molini Bernasconi (presto bruciati in un rogo rimasto senza responsabili), si ritrova oggi di nuovo in mezzo a macerie, quelle dell’ex-Macello abbattuto a colpi di ruspa.
Quelle “macerie” le sta raccontando, fra l’altro, con una serie podcast proposta anche da “Naufraghi/e”, una documentatissima ricerca curata da Olmo Cerri, che per la prima volta consente di entrare nella storia del movimento, attraverso le voci dei suoi protagonisti, fra sogni, bisogni e anche, perché no, contraddizioni, che hanno dato vita ad un’esperienza che merita di essere ascoltata, se la si vuole capire e se ci si vuole poi confrontare.
Dubito che Paride Pelli abbia avuto tempo anche solo per ascoltare cinque minuti di quei materiali. Forse non ne ha nemmeno avuto voglia: nel suo naturale senso dell’equilibrio per lui è chiaro come stiano le cose: da una parte Municipio e cittadinanza costretti a tollerare manifestazioni non autorizzate (ma quando mai sono autorizzate?), dall’altra un gruppo sempre più sparuto di irridicibili, rappresentanti di una “microcomunità” che in realtà non si fa rappresentare da nessuno e si rende indisponibile ad ogni forma di dialogo.
Solo nella breve premessa, Pelli ricorda che da mesi tutti aspettano l’esito dell’inchiesta penale sul comportamento del Municipio e della Polizia in occasione dell’abbattimento di parte dell’ex-Macello. Un esito che, per dirla con Paride Pelli, continua a pendere come una spada di Damocle, minacciosa, sulla città.
Eccoci ancora alla cara mitologia greca, con un’immagine che dovrebbe pur ricordare però che la spada sta sopra la testa di Damocle, ovvero del potente, ovvero del Municipio, non su quella di una città che semmai aspetta di capire dove andrà a conficcarsi (o a cadere nel vuoto).
E allora, quando si arriva ad affermare che la manifestazione di sabato scorso ha accentuato la natura grottesca di una situazione in cui nessuno fra gli autogestiti è disposto a dialogare mentre, da parte del Municipio si continua ad aspettare “un interlocutore che non arriva mai”, mi pare si dimentichi (significativamente) che non pare poi tanto evidente pensare di “dialogare” con chi ti ha abbattuto la casa, per ora, ahinoi, impunemente.
Ed è davvero difficile non riuscire a ricordare che questo bruciante presupposto non è stato creato dai presunti autistici contestatori della nostra ordinata ed irreprensibile idea di società e socialità, ma da un’evidente deriva (autoritaria? di Polizia?) che non sono certo solo gli “autogestiti” a stigmatizzare e che ha sollevato in ampi strati della cittadinanza non pochi interrogativi.
Il “giudizio di Paride”, lo si consenta, in questo caso è davvero tutto sbilanciato, “squilibrato”: il teatrino dell’assurdo, evocato nell’editoriale, è anzitutto quello messo in scena in questi mesi dal Municipio di Lugano, molto più che da una manifestazione “ goliardica a cielo aperto, con pure una capra a sfilare” (apriti cielo, vien davvero da dire!).
Certo, se si resta comodamente assestati sulle proprie posizioni impugnando la spada (magari di Damocle) dei pregiudizi, sarà davvero difficile arrivare ad una soluzione della questione. Ma occorre anche ricordare che non si sta affrontando un tema secondario, relativo ad un’infima minoranza rumorosa e neghittosa: si sta parlando di una questione legata allo stato di diritto; del diritto, appunto, per ogni cittadino, di essere trattato equamente da un potere (politico, giudiziario) chiamato a regole e doveri almeno quanto e ancor più li si pretenda rispettati dagli autogestiti.