PSE: un’occasione persa di esercizio democratico
Attacchi, minacce e pressioni hanno impedito un vero e costruttivo dibattito
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Attacchi, minacce e pressioni hanno impedito un vero e costruttivo dibattito
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Attacchi, minacce e pressioni hanno impedito un vero e costruttivo dibattito
Mi permetto solo di esprimere la mia profonda tristezza nel vedere Municipio e amministrazione comunale, istituzioni che concettualmente e formalmente sono di tutti e quindi tutti dovrebbero rappresentare (favorevoli e contrari), non tanto essere trascinati in questo gorgo – può succedere – ma essercisi immersi senza alcuna esitazione. E del fatto che non si sia distanziato senza equivoci né tentennamenti dall’avvertimento in stile mafioso (come altro definirlo?) inviato a mezzo stampa a tutta la popolazione di Lugano dall’ex proprietario e presidente del FC Lugano Angelo Renzetti. E qui mi fermo.
Mi ha fatto specie anche osservare le pressioni che tutte le società sportive hanno ricevuto per schierarsi acriticamente a favore del progetto (sempre Renzetti docet), e in tal modo tacitare le voci critiche che so esistere numerose anche al loro interno, come se esprimere dubbi e perplessità potesse voler dire essere contro al PSE senza se e senza ma e non, come invece dovrebbe essere, portare alla cittadinanza utili elementi di dibattito.
Fa eccezione, va detto, il FC Rapid Lugano, che mai mi ha proibito di esprimere le mie considerazioni, rigorosamente come sempre ho tenuto a specificare a titolo personale e come la stessa società ha dovuto alla fine rimarcare (far sapere agli amici degli amici?), e che purtroppo in caso di fallimento di fronte alle urne del PSE potrebbe subire i contraccolpi delle mie parole (anche questo mi è stato detto e ho dovuto subire), come se permettere ai propri aderenti di partecipare al libero (bisogna ancora sottolinearlo nel 2021?) dibattito politico cittadino fosse non un’ovvietà, al limite addirittura un titolo di vanto, ma una colpa da pagare ed espiare. Come appunto Renzetti ha tenuto a far sapere a tutti.
Voglia il cielo che così non sia e che, come si è augurato il collega John Robbiani, una volta passato il 28 novembre tutto possa tornare alla normalità. Personalmente ne dubito: il solco è da tempo tracciato, non solo a Lugano, e una volta infranti certi limiti è sempre difficile, sia pure non impossibile, tornare indietro e ricostituirli.
Gli è che l’intolleranza è annidata nel nostro essere, dunque anche nelle nostre istituzioni, come un tarlo che ogni tanto riemerge. E quando questo accade la lotta politica non è più confronto, duro e acceso quanto si vuole ma pur sempre tale, ma lotta all’ultimo sangue tra una supposta verità e un supposto, ovviamente opposto, errore. In odor d’eresia. Perché nel giro di pochi anni siamo passati dall’idea – una visione parziale e dunque in sé discutibile – alla fede – principio totalizzante e assoluto e quindi indiscutibile. Non più dunque il dubbio come unica certezza, ma il dogma e l’obbedienza assoluta (ortodossa) ai suoi dettami; non più la speranza in un domani migliore, ma la certezza di un avvenire paradisiaco e beatificato.
Peccato: chiunque vinca, il dibattito sul PSE è stata un’occasione mancata di esercizio democratico; chiunque vinca, ne usciremo tutti sconfitti.
Era invece il comunicato dell’abbandono dell’inchiesta penale sui fatti che portarono all’abbattimento di un’ala dell’ex Macello
Il video-racconto del nostro collaboratore, il giornalista ticinese Filippo Rossi, dalla città afghana di Mazar-i Sharif