Racconto d’agosto – Il martirio di Filomena (9)
La capocchia del fiammifero
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La capocchia del fiammifero
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• – Redazione
Prese una bustina di fiammiferi dalla mensola sopra il camino, dove un grande specchio gli rimandava la sua immagine. Aveva un’aria da vero scrittore con i suoi capelli bianchi e ancora ribelli, gli occhi accesi e brillanti, la camicia con qualche bottone aperto e le maniche arrotolate. D’altronde lo confermavano anche le foto numerose disseminate qua e là, incorniciate nell’alabastro, nel cristallo o nell’argento, che lo ritraevano insieme a due vincitori del Premio Nobel e a cinque vincitori di una serie di altri premi letterari internazionali. Su una foto stringeva la seconda moglie, bionda e raggiante, mentre il sindaco in persona gli consegnava le chiavi simboliche della città.
Erano stati vent’anni di successo. Il martirio di Filomena, inviato per raccomandata alle cinque maggiori case editrici esattamente un giorno dopo il divorzio dalla prima moglie e quattro mesi dopo la morte di Maria João, in tre casi suscitò reazioni quasi isteriche. Direttori ed editor presero d’assalto Galvani: pur di poterlo pubblicare gli comunicarono proposte assolutamente esagerate via segreteria telefonica, lettere raccomandate e mail, ma lui non prese alcuna decisione prima di essersi consultato con il suo avvocato e avere pianificato il suo futuro professionale nei minimi dettagli. Alla fine il manoscritto (tradotto in ventisette lingue in tre anni) fu venduto al miglior offerente; ispirò una serie televisiva canadese, una danese, una telenovela spagnola e due film, di cui uno statunitense e uno francese, nonché tutta una serie di gadget legati a MF, come ormai Il martirio di Filomena veniva chiamato dai milioni di fan in tutto il mondo. I critici fecero a gara per chi ne parlasse meglio, sicuri di trovarsi di fronte a un capolavoro letterario della civiltà globale.
E Galvani? Nulla fu creato, organizzato o venduto a nome di MF senza che lui ne avesse un tornaconto. I soldi in banca si moltiplicavano a una velocità che dava il capogiro, presto arrivò una seconda moglie con una figlia a carico e poi quella magnifica casa con il parco. Ovviamente nel giro di sei mesi Galvani lasciò la scuola, contento di non dovere più avere a che fare con i rivali di sempre, che improvvisamente lo salutavano con ampi sorrisi. La sua vita cambiò completamente.
Per quanti sforzi facesse, Galvani non riuscì mai a scrivere qualcosa di decente. Ci provò, e le grandi case editrici gli pubblicarono qualche innocuo racconto all’interno di raccolte allargate, pur non senza prima averlo sottoposto a un editing da purga. Ma se i suoi critici lo abbandonarono nell’attesa che gli riuscisse un altro colpo, milioni di ammiratori gli restarono fedeli, seguendolo nei festival di mezzo mondo. Subito dopo la pubblicazione del Martirio di Filomena, Galvani si era visto costretto ad assumere una segretaria a metà tempo che gestisse la posta degli ammiratori. A Galvani cominciarono a piacere cose che aveva sempre apertamente disprezzato, come i ristoranti stellati, gli orologi d’oro, il golf, le crociere ai Caraibi, i tour nell’India delle piantagioni, le feste… In poco tempo ingrassò di venti chili e si ritrovò circondato di amici; la gente a volte lo riconosceva per strada in angoli inaspettati del pianeta e chiedeva di fotografarlo. Ancora oggi, a distanza di vent’anni, riceveva lettere d’amore e di ringraziamento da tutto il mondo, e recentemente anche da ragazzi giovani (una nuova generazione si apprestava a scoprire Il martirio di Filomena).
Ora tutto era finito. Il martirio di Filomena avrebbe continuato a fare il suo corso garantendo un’assoluta tranquillità economica agli eredi (concretamente, suo fratello minore e sua moglie).
Galvani non avrebbe più dovuto temere nulla, nemmeno l’amnesia più impietosa. E forse Maria João avrebbe smesso per sempre di visitarlo nel sonno. I primi tempi della sua nuova vita accadeva spesso: Galvani si svegliava di notte, fradicio di sudore e in preda agli incubi dopo avere sognato una Maria João a volte lasciva, altre in lacrime. Galvani accettava quegli incubi come il prezzo (sopportabile) per la sua nuova vita.
Sfregò la capocchia del fiammifero, che prese fuoco al primo colpo. Avvicinò la fiamma alla carta e, prima di gettarla nel fuoco, si fermò a osservare per qualche istante le parole che si dissolvevano, sciolte dal calore. Mentre guardava le lingue arancioni avvolgere la lettera, con un sorriso beffardo mormorò:
«Grazie, cara Maria João, grazie di tutto. Conoscerti è stato un piacere».
(Fine)
© 2017 Simona Sala
Illustrazioni di Franco Cavani
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