Un camper in Piazza Grande
Ricordando uno “storico” concerto di Fabrizio De André a Locarno
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Ricordando uno “storico” concerto di Fabrizio De André a Locarno
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Ricordando uno “storico” concerto di Fabrizio De André a Locarno
E con Faber sul palco un vero “dream team”: da Mauro Pagani a Michele Ascolese, dal compianto Naco alle percussioni a Ellade Bandini e Giancarlo Parisi che avevo conosciuto qualche mese prima anche a fronte di un suo lavoro sospeso tra world music, popolare e etnica che stava per pubblicare: “L’otre di Eolo”. Grazie a lui nel tardo pomeriggio mi intrufolai ovunque respirando l’atmosfera del back stage e chiacchierando soprattutto con Pagani e Ascolese.
Le nuvole… ho un ricordo di una giornata coperta, che minacciava pioggia ma appena Fabrizio salì sul palco il cielo quasi per malia si fece terso. Il cielo plumbeo e minaccioso fece posto per rispetto e deferenza alle sue nuvole, a quelle di Faber.
Avevo chiesto un’intervista al maestro ligure, e me la concessero. Oltre al sottoscritto e alla mia amica Cristina di Biasca, furono accreditati altri due colleghi, uno proveniente d’oltre Gottardo, l’altro era Umberto Savolini, sodale di molte avventure tra concerti, festival e interviste.
L’appuntamento era al termine del concerto, nel suo camper. Già perché Faber si spostava in camper durante quel tour, quasi per ricreare una sorta di “aia” contadina in movimento. Ci accolsero, Dori in testa, con la preghiera di esser brevi e ci fecero accomodare praticamente a tavola, sotto la veranda del mezzo di locomozione.
Una tavolata imbandita: tovaglia a quadrettoni bianca e rossa, fiasco di vino, scaglie di parmigiano, qualche grappolo d’uva. Pochi minuti e il “maestro” si manifesta. È accogliente e sorridente anche sotto gli immancabili occhiali scuri. Ci invita a versarci un bicchiere di rosso, a spiluccare a metterci comodi. Vede il mio registratore, uno Stellavox a bobine di 10 kg. Mi chiede gentilmente di non registrare la sua voce. Ed io: “Fabrizio, lavorando per la radio devo registrare”. “Mi dispiace” replica, spiegandomi che gli era successo, a lui come ad altri, che la sua voce venisse campionata, editata e montata da terzi per deformare idee, concetti o sovrapporla a basi dance di pessima qualità.
“Non è per mancanza di fiducia nei tuoi confronti”, sentenziò, “ma se qualcuno poi registrasse dalla radio l’intervista…”. Compresi e riposi lo Stellavox sotto la tavola, lasciandolo “indebitamente” acceso.
Parlammo con Fabrizio, chiacchierammo a lungo (altro che stanchezza o scarsa voglia di comunicare!) tra un bicchiere che tirava l’altro, sigarette sempre accese, dolci acini di uva bionda come la sua voce, il parmigiano e una lucidità di pensiero abbacinante. Parlammo a ruota libera della necessità di eternarsi, di musica, del senso delle canzoni, delle operazioni musicali e culturali di cui era motore, della bellezza che le minoranze, anche linguistiche, vantano, dell’Agnata, dei poteri forti e deviati che ancora erano attivi e di spiritualità: “Sono un animista come i nativi americani e altre popolazioni africane. Credo che la divinità, l’essenza divina si manifesti soprattutto nella natura”.
Non ho idea di quanto parlammo ma parecchio, anche perché, ogni tanto, con la scusa di allacciarmi le scarpe o raccogliere oggetti cambiavo la bobina al registratore; ne ho cambiate due se non tre e ognuna durava 20 minuti circa! Anni dopo, credo nell’ambito del Tenco, glielo ricordai, confessando di averlo registrato ma mai di aver utilizzato quell’intervista per radio (l’audio da sotto il tavolo non era neppure un granché, anzi).
Dolcemente sorrise.
Nell’immagine: De André intervistato dalla RSI a Chiasso nel 1984
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