Di Babbi Natali, di presepi e di altri simboli
Tra sfinimento e scoramento dopo esternazioni radiofoniche mattutine
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Tra sfinimento e scoramento dopo esternazioni radiofoniche mattutine
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Tra sfinimento e scoramento dopo esternazioni radiofoniche mattutine
Nella svagata chiacchiera radiofonica antelucana, tra spigolature e inessenzialità, ecco arrivare il solito discorso sul Natale e sui suoi simboli. Il servizio pubblico plaude alla esternazione di un vescovo siciliano che, udite udite, ha svelato a tutti (bimbi compresi) che Babbo Natale non esiste, ma che il Bambingesù invece sì; come se entrambe le figure non avessero analoga valenza meramente simbolica, in assenza di prove storiche (e non solo “libresche”) in un caso, e in presenza di sole motivazioni commerciali nell’altro.
A questo, l’animatore radiofonico ha ritenuto di aggiungere una curiosa difesa della tradizione del presepe, di cui ha financo mostrato (per chi segue la radio-a-colori) un esemplare non esteticamente memorabile ma liberato nel mondo per nobile causa. Ci si è detto, con quel filo di ironica arroganza che tanto ci piace, che il presepe è simbolo ed epitome della famiglia, e addirittura di quelle famiglie che più soffrono; un simbolo, quindi, di qualcosa di generale e di non religiosamente connotato, e chi la pensa diversamente vada a farsi friggere nell’inferno degli sciocchi, più o meno.
Siamo alle solite, si dirà.
Un simbolo chiaramente cristiano-cattolico sdoganato come qualcosa d’altro, in particolare come elemento caratterizzante della cultura e della civiltà europee; un po’ come si fa con il crocifisso, facendo finta che l’immagine dell’uomo appeso non abbia valenza religiosa-confessionale, ma sia una sorta di icona culturale, “l’espressione di un sentire comune radicato nel nostro Paese e simbolo di una tradizione culturale millenaria” (così dice la CEI). Per quel che vale, una sentenza della Cassazione italiana ha di recente chiarito con giuridico e definitivo nitore che il crocifisso è invece un simbolo confessionale, non appunto un’icona culturale; e questo vale anche per il presepe e per tutta la strabordante iconografia cattolica. L’interpretazione che i vescovi italiani di cui sopra promuovono – insieme ai conducatores del sovranismo, peraltro – con non inedito cinismo (e per tentare di salvarsi la pagnotta dal disastro della crescente disaffezione popolare) è, a ben vedere, piuttosto mortificante per i credenti che vedono i simboli del loro uomo/dio, nel momento della nascita o in quello della “morte”, ridotti a un’immagine qualitativamente analoga ad altre rappresentazioni della nostra civiltà occidental-capitalistica (non so, l’iPhone o il logo di Google). Se si volesse giustamente ricordare la tragedia di talune famiglie, quelle dei migranti in primis, vi sarebbero immagini quotidiane da sbattere in faccia alla nostra natalizia indifferenza, con il vantaggio che esse – a differenza di presepi e compagnia bella – non sono meri simboli ma parlano di fatti e di drammi, di una “realtà reale”, al di fuori di ogni dubbio, di ogni credo e di ogni alibi. Penso ad esempio alle immagini di quelle famiglie che – ai confini dell’Europa – sono vittima anche ora della criminale crudeltà del (per restare un po’ in tema) cattolicissimo Stato polacco.
Immagine: Open Arms
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