La guerra di Vladimir e il populismo
Di fronte all’”enigma circondato da mistero” della politica russa le democrazie occidentali non sembrano certo in buona salute, a partire da Londra
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Di fronte all’”enigma circondato da mistero” della politica russa le democrazie occidentali non sembrano certo in buona salute, a partire da Londra
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Di fronte all’”enigma circondato da mistero” della politica russa le democrazie occidentali non sembrano certo in buona salute, a partire da Londra
Grave sottovalutazione degli istinti neo-imperiali del nuovo zar, che dalla Georgia alla Cecenia alla presa sulla Bielorussia aveva già dimostrato di cosa fosse capace pur di realizzare il suo progetto-ossessione di rianimare almeno parte dell’Urss collassata. E’ solo un tassello di una tragedia che, si dice, cambierà il mondo: rapporti internazionali, nuove alleanze, scambi commerciali, assetti sociali. Tutto è in gioco, mentre la guerra continua (“non avete ancora visto niente”, minaccia Putin), le pedine sullo scacchiere diplomatico sono ferme, l’America cerca goffamente di ‘allettare’ la Cina (che però Biden insiste nel definire la principale rivale ‘sistemica’ degli USA) promettendo di togliere i dazi di Trump se Pechino recide o quantomeno allenta l’alleanza con Mosca. Per ora prospettiva improbabile. Se da una parte la ‘Krepost Rossija’ (la fortezza Russia) rimane pur sempre- anche sul reale impatto delle sanzioni occidentali – “l’enigma circondato da mistero” di churchilliana memoria, dall’altra ben visibili e palpabili sono invece le difficoltà delle democrazie europee, e non solo. Che devono fronteggiare il boomerang, dagli effetti mal calcolati, della loro rappresaglia.
Non è vero che i crescenti affanni occidentali vadano tutti addebitati alle conseguenze della guerra. Fiammata inflazionistica e scarsità di materie prime, paralisi nella grande logistica erano già stati innescati prima del conflitto, rallentando e minacciando la crescita. La sfida di Putin è comunque un micidiale maglio, che colpisce famiglie e aziende. E non è questione di ‘scegliere fra pace e condizionatori’, come disse sbagliando Draghi. Si possono per esempio dare molte e valide spiegazioni alla caduta di Boris Johnson in Gran Bretagna, ma il “Guardian” mette ai primi posti il fatto che comunque oggi quasi una famiglia britannica su dieci non ha abbastanza da mangiare ‘semplicemente’ perché l’impennata dei prezzi ha gonfiato il costo del cibo. E inutilmente, pochi mesi fa, il ‘Financial Times’ si era appellato agli imprenditori inglesi, in affanno per la difficoltà di reclutare lavoratori, col titolo: “Sapete cosa c’è? Pagateli di più!”. Quasi ovunque (Svizzera compresa) mancano piani adeguati di sostegno mentre dalla Spagna all’Olanda, dalla Francia all’Italia (dove 2 lavoratori su 3 guadagnano meno di mille euro al mese) recenti proteste segnalano che la miccia della polveriera sociale è sempre più corta. Ed è una polveriera globale.
Troppi commentatori, con riferimento alle vicende londinesi, hanno parlato del ‘BorisExit’ come segnale di crisi del populismo. In realtà è stata solo la crisi di ‘un populista’, oltretutto presunto. In realtà, la miniera del populismo è ancora ben rifornita. Soprattutto di stridenti ingiustizie sociali. E Putin, che domina su una Russia dove le disuguaglianze sono fra le più profonde al mondo, ci mette volentieri del suo.
Scritto per ‘la Regione’
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