Swiss Press Award e l’esprit… du Temps
Nella scorsa edizione, alla Televisione svizzero romanda (RTS) erano andati ben cinque premi su 18, in tre delle cinque categorie. Quest’anno, nada. Ma non solo.
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Nella scorsa edizione, alla Televisione svizzero romanda (RTS) erano andati ben cinque premi su 18, in tre delle cinque categorie. Quest’anno, nada. Ma non solo.
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Nella scorsa edizione, alla Televisione svizzero romanda (RTS) erano andati ben cinque premi su 18, in tre delle cinque categorie. Quest’anno, nada. Ma non solo.
Ognuno ha le proprie fisse, io ho quella del tempismo. Azzeccare il momento giusto per fare una determinata cosa – mi dico – è tutto. O quasi.
È per questo che lo scorso venerdì, poco dopo aver appreso i risultati di tre inchieste su eventuali abusi in seno alla RTS rimango un po’ di stucco quando mi arriva una comunicazione dal Swiss Press Award 2021 (il premio annuale per il giornalismo svizzero) e leggo che a vincere nella categoria carta stampata ci sono i tre colleghi del quotidiano Le Temps, proprio per la loro inchiesta “La RTS et la loi du silence”.
Intendiamoci, sono contento per loro (e detto fra parentesi: non ho partecipato all’edizione di quest’anno quindi non ho conflitti di interesse). Trovo inoltre si tratti di un’inchiesta importante, che a ottobre scorso aveva accesso la miccia dello scandalo e sollevato il coperchio su ingiustizie e sofferenze personali a cui va il massimo rispetto. E che parlava di un malessere profondo e di una mancanza di fiducia fra personale e direzione, entrambi confermati dalle tre inchieste esterne ed entrambi difficilmente risolvibili in breve tempo.
Ma ho pensato: che strano, proprio oggi?
La tesi di fondo della lunga inchiesta era infatti: esiste una sorta di sistema omertoso fra alcuni dirigenti della RTS che hanno coperto diversi abusi. Ma non solo. Nell’articolo si faceva il nome e il cognome di una sola persona: l’ex presentatore della televisione romanda, Darius Rochebin, che assurgeva così a simbolo della malagestione targata RTS.
Le inchieste esterne, sei mesi dopo, però, ci dicono due cose che vanno in direzione opposta: non c’è e non c’era nessun sistema omertoso e Darius Rochebin non è colpevole da un punto di vista penale, tanto che il suo nuovo editore francese (TF1) ha deciso di riaccogliere lui e la sua trasmissione nel palinsesto.
A onor di cronaca e per rispetto soprattutto delle vittime, le inchieste ci confermano anche due casi di abusi, e per questi i responsabili del personale e dell’attualità che avrebbero dovuto intervenire per tempo hanno lasciato il posto. Infine, uno studio del sindacato dei media è atteso per giugno, e potrebbe chiarire ulteriori disagi.
Così mi sono chiesto, ma che strano: il giorno in cui si celebra un lavoro giornalistico meritorio da diversi punti di vista, lo stesso giorno, si scopre che parte di quel lavoro forse forse non era del tutto ben calibrato. E il tempismo si sa è tutto (l’ho già detto?), anche quando le bizzarrie del calendario sembra facciano il resto.
Poi ho guardato bene e ho notato che quest’anno la RTS non ha ricevuto un solo premio. L’anno scorso, tanto per dire, ne aveva fatto incetta e l’anno precedente ne aveva vinti un paio, ma quest’anno zero. Sarà un caso. Forse la mancanza di candidati, o di candidati all’altezza, ci mancherebbe, succede.
Ma i premi spesso sono capaci di registrare la temperatura del momento e annunciano le nuove tendenze un po’ come gli stilisti con le loro collezioni, e non necessariamente per qualche retropensiero della giuria giudicante, ma per quell’esprit du temps che spesso sanno interpretare.
E allora quale messaggio ci lascia questa scelta? Una scelta ancor più evidente (stridente?) vista la concomitanza tra l’annuncio dei nominati e i risultati delle inchieste? Possibile intravedervi un segnale che qualcosa di profondo sta cambiando fra (certi) editori privati e servizio pubblico? Ha qualche ragione extra giornalistica l’attenzione particolare – con diversi corsivi su questo come su altri temi – che il quotidiano Le Temps sta dedicando alla RTS da qualche mese? Domande che non hanno risposta per ora, piacerebbe averne, ma non le ho, spiace.
Alla fine però mi consolo, perché quest’anno posso congratularmi anche con alcuni bravi colleghi e alcune brave colleghe della Svizzera italiana: due Swiss Press Award sono andati infatti alla Radio RSI (al documentario “I guerrieri della luce” di Rete Uno e a Modem di Rete Due) e uno alla televisione (Falò). E pazienza per il tempismo. In fondo si tratterà solo di una mia fissa personale.
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