Paolo Di Stefano – Un Soave leggero della casa
Un più discreto amore per la vita - A cento anni dalla nascita, parole e versi di Giorgio Orelli nel ricordo di scrittori e amici
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Un più discreto amore per la vita - A cento anni dalla nascita, parole e versi di Giorgio Orelli nel ricordo di scrittori e amici
Avrei potuto scegliere diverse altre poesie di Giorgio Orelli: ma qui c’è la figura di un genitore ed è ovvio che per la nostra generazione Giorgio è stato, senza retorica, un padre generoso, ironico e, diversamente dal suo, raramente stanco. Il mio ricordo più importante di Giorgio risale al 1989, quando andai a trovarlo a Bellinzona, quasi tremante, dopo avergli fatto leggere le poesie che sarebbero diventate Minuti contati (il titolo è suo, così come la prefazione di quel libro che Vanni Scheiwiller avrebbe pubblicato l’anno dopo). Conservo ancora i fogli con i suoi minuziosi appunti a penna, soprattutto concentrati sul ritmo e sui giri eccessivi degli enjambement. Volevo un testo da Il collo dell’anitra perché un altro bel ricordo mi lega a quel libro. L’ho già raccontato. Era il 27 giugno 2001 e a mezzogiorno ci trovavamo, con Giorgio e Mimma, all’Antica Osteria Cavallini, in via Mauro Macchi, zona Stazione Centrale. Il giorno prima Giorgio al telefono mi aveva detto che sarebbe arrivato in treno a Milano con la Divina Commedia dentro la borsa, accanto al dattiloscritto della nuova raccolta poetica che nel pomeriggio avrebbe consegnato a Gianandrea Piccioli, direttore della Garzanti: uno dei pochi dirigenti editoriali che poteva capire al meglio la grandezza del poeta. (Si andava verso un’editoria diversa, pressoché orfana di collane poetiche). Giorgio era molto allegro, parlò del suo lavoro sul Fiore, dove la lettura verbale confermava l’attribuzione a Dante. Parlò molto di un altro suo «padre», Contini, dicendo che i maestri bisogna non troppo pedissequamente assecondarli: per esempio, Giorgio considerava grossolana la distinzione continiana tra plurilinguismo e monolinguismo («Petrarca in certi casi è più espressionista di Dante»). Secondo Giorgio, un grande maestro è capace di dire al discepolo: io continuo ad andare a Ovest, ma tu prova ad andare a Est… Il suo Est era la critica verbale, ovviamente, quella legata alle tessiture sonore che lo facevano entusiasmare di fronte all’assonanza petrarchesca tra «Ardenne» e «ardire». Quel giorno Giorgio parlò della sua memoria che definiva capricciosa ed era semplicemente portentosa. A questo proposito, disse di aver tradotto Goethe con l’aiuto di Boiardo e di Tasso. Il clou di quel pranzo, almeno nella mia memoria, coincide con un dialogo che potrebbe apparire assurdo solo a chi non abbia mai conosciuto Giorgio Orelli. Fu quando al cameriere che proponeva di accompagnare la sogliola con «un Soave della casa leggero», Giorgio rispose che avrebbe preferito «un Soave leggero della casa», perché l’endecasillabo ritmicamente suonava meglio così. C’è qui tutto Giorgio, per il quale non esisteva alcun punto di frattura tra la vita quotidiana e i pensieri (l’ossessione) sulla letteratura. Più che pensieri ossessivi era quel che lui definiva l’infinita meraviglia della parola che poteva accendersi ovunque: «Continuo a meravigliarmi leggendo la poesia, è la cosa più curiosa che mi capita in vecchiaia». In questo senso, forse, pur apprezzando il Soave con la sogliola alla mugnaia, anche Giorgio come suo padre era un bevitore dell’universo e il suo tempo era sempre il tempo del fieno. Difficile figurarselo in uno dei regni cosiddetti d’oltretomba. Il sospetto è che ce ne sia un quarto, per i bevitori dell’universo, dove lui potrebbe aver ritrovato suo padre e dove noi, chissà, ritroveremo Giorgio.
Da molti anni mio padre
non ha più sete.
O forse dura tuttavia.
“Io berrei l’universo” diceva al tempo del fieno.
Era certo una sete esagerata,
una cosa da canto tredicesimo
dell’Inferno o tredicesimo della
Liberata.
Non so figurarmi mio padre
in nessuno dei regni cosiddetti
d’oltretomba, non so fino a che punto
c’entri la sete, quella sua sete
di sceriffo insidiato da stanchezze
mortali verso l’ora di cena
quando era meglio non venirlo a trovare,
non chiedergli nulla, lasciarlo riposare.
Foto Giorgio Orelli © RSI
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